• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Politica > La mancanza della nazione

La mancanza della nazione

La Seconda Repubblica - se di seconda si può parlare vista la sostanziale continuità con la prima - potrebbe concludere il suo spiccio e sbandato cammino. Una storia fatta di anomalie e riforme a metà, leggi ad personam e diaspore laiche e socialiste, democristiane e comuniste.

 

La Prima Repubblica venne alla luce grazie al compromesso tra i partiti del Cln, le forze sociali e gli alleati occidentali; si sviluppò prima attraverso gli anni del centrismo di De Gasperi, a cui seguì il centro-sinistra (col trattino), poi ci fu la solidarietà nazionale e infine la formula pentapartitica degli anni ottanta. Si tirò su con profonde divisioni ideologiche frutto del ventennio fascista, della seconda guerra mondiale, della Resistenza (e della guerra civile). Ereditò dal Regno le cospicue differenze territoriali e culturali provocate da un processo di unificazione rapido che certamente creò l’Italia - estendendo al territorio nazionale la struttura istituzionale del Regno di Sardegna - ma non riuscì a creare gli italiani.

Così si arrivò, di schianto, al boom economico e alla lottizzazione, agli anni di piombo e al compromesso storico tra la Dc di Moro e il Pci di Berlinguer. Si arrivò a 351 morti ammazzati dal terrorismo rosso e nero dal 1969 al 1980, si arrivò al 12 dicembre 1969 giorno della strage neofascista di Piazza Fontana a Milano: prima di una lunga serie di ambiguità mai risolte, frutto di trame oscure tra la Cia e apparati deviati dello Stato. Si arrivò allo scandalo Lockheed, allo Ior e al Banco Ambrosiano, a Calvi e a Sindona, a Licio Gelli e alla P2. Si arrivò a Impastato, a Pinelli, a Calabresi e Alessandrini, a Walter Tobagi e Mino Pecorelli, a Cassarà, Falcone, Borsellino e Don Peppino Diana.

Si arrivò a quel 9 maggio 1978 quando il corpo di Aldo Moro fu ritrovato dentro il cofano di una vettura posteggiata in via Caetani: esattamente a metà tra via delle Botteghe Oscure e Piazza del Gesù, precisamente a metà tra la sede della Democrazia Cristiana e quella del Partito Comunista Italiano. Lo volle il destino. O forse lo vollero gli uomini. E forse a volerlo non furono solo quelli del commando delle Brigate Rosse che lo tennero prigioniero per cinquantacinque giorni e poi lo fecero fuori insieme ad altre 28 persone nel solo 1978. Le stesse Brigate Rosse che assassinarono il sindacalista della Cgil Guido Rossa e, in tempi più recenti, Massimo D’Antona e Marco Biagi.

Dopo l’assassinio di Moro la stagione della solidarietà nazionale si concluse; e si concluse - come ha scritto Silvio Lanaro - per mancanza del soggetto stesso della solidarietà: la nazione. Centodieci anni dopo la storica frase di Massimo D’Azeglio mancavano ancora - così come mancano oggi - gli italiani. Mancano per l’incapacità di superare divisioni e visioni personali e arrivare a guardare all’esclusivo interesse del paese. La Prima Repubblica si svuotò prima dall’interno attraverso la crisi di legittimità che colpì la classe politica e i partiti, poi cadde giù sotto i colpi dell’offensiva giudiziaria e di quella referendaria. In quei giorni si fece un gran parlare di moralità e riforme, cambi generazionali e “gioiose macchine” da guerra.

Tutti si strapparono i capelli per pensare a come tirar giù la Prima Repubblica, ma nessuno si preoccupò di come costruire la seconda. Tant’è che la continuità degli apparati, delle istituzioni e degli attori politici fu tale da rendere quasi ridicolo l’utilizzo stesso del termine Seconda Repubblica. In ogni caso - e a prescindere da come la si voglia chiamare - la Seconda Repubblica sta per finire schiacciata sotto il peso delle anomalie che la contraddistinguono: il conflitto d’interessi e la mancanza di riconoscimento tra attori politici e poteri dello Stato.

Giorni addietro, durante l’assemblea del Ppe a Bonn, Silvio Berlusconi lo ha ribadito chiaramente: non riconosce la legittimità degli organi di garanzia in generale e della Corte costituzionale in particolare. Il premier ritiene che dei giudici non eletti dal popolo non possano interferire con l’opera di un governo democraticamente eletto. Il cavaliere ignora però due fatti: ignora, probabilmente, che le stesse identiche parole furono pronunciate dal comunista Togliatti agli albori della Repubblica. Ma ignora soprattutto che la Corte costituzionale non è eletta dal popolo in nessun paese del mondo occidentale, e non è eletta dal popolo perché ha proprio il compito di giudicare sulla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti emanati dal Parlamento: questo sì organo collegiale eletto democraticamente dal corpo elettorale.

Come se non bastasse il presidente del Consiglio continua a parlare della sua investitura popolare dimenticando che in questo paese, con questa Costituzione, è il Parlamento ad essere eletto dal popolo. Ed è il Presidente della Repubblica che, preso atto del risultato delle elezioni, affida al capo della coalizione vincente il compito di formare il governo. Dunque, se sostanzialmente Berlusconi dispone del consenso popolare, formalmente quello stesso consenso appartiene al gruppo parlamentare del Popolo della Libertà che può, in qualsiasi momento, negare la fiducia al governo provocandone la caduta. In quel caso spetterà di nuovo al Presidente della Repubblica constatare la presenza di un’eventuale maggioranza di ricambio o decretare lo scioglimento delle Camere e l’indizione di nuove elezioni.

Si dirà: Berlusconi è un uomo di sostanza, un uomo del fare che non bada alla forma. Nessuno può negarlo, ma un presidente del Consiglio di una democrazia occidentale dovrebbe avere ben presente che in questi casi la forma è sostanza e che la Carta costituzionale rappresenta un vincolo imprescindibile di cui tenere conto nell’esercizio del potere.

Il timore è di far rivivere il fantasma del 1992: tutti impegnati a far crollare il vecchio sistema e nessuno concentrato sul progetto di costruzione del nuovo. Craxi era il male assoluto, tolto di mezzo lui la Cenerentola Italia tutta toppe e debito pubblico si sarebbe trasformata in principessa. Oggi tira la stessa aria e la Terza Repubblica che verrà potrebbe nascere di nuovo malata di quella sindrome congenita che si chiama: mancanza della nazione.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares