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 Home page > Attualità > Economia > Un problema dei problemi: il deficit pubblico

Un problema dei problemi: il deficit pubblico

Atteso che i Ministri dell’attuale governo su questo argomento si stanno fra di loro accapigliando, non si può tacere sul deficit pubblico, vero problema dei problemi.
 
Noi non le conosceremo mai ma, senza di loro, saremmo apatici, indolenti, immotivati, e non staremmo lì ad ammattire, a creare imperi, a costruire strade e canali, e così via. Sono le generazioni successive alla nostra. Ve la immaginate la nostra vita se sapessimo che, dopo la nostra, non vi sarà nessuna altra generazione? E lo stesso vale, all’inverso, per le generazioni passate.
 
E’ il principio dell’eredità, della sopravvivenza nel tempo della specie; un principio che vale sotto diversi aspetti. Ad esempio, oggi abbiamo stoccate da qualche parte le scorie delle centrali termonucleari dismesse in cui i nostri predecessori producevano energia; e, passato di moda il vecchio referendum che portò all’arresto di questa attività, sembrerebbe che stiamo per riprenderla per riscaldare le nostre case, incuranti di lasciare alle generazioni successive lo stesso tipo di eredità debitamente incrementato di volume.
 
In campo finanziario le cose sono ancor più dirette: oggi ogni cittadino del nostro Paese, anche il neonato, ha un debito pubblico pro quota di qualcosa come 30.000 euro. Lo ha perché i suoi predecessori sono vissuti al di sopra delle loro possibilità, spendendo più di quanto avevano. E i nostri Ministri si accapigliano fra di loro per decidere se debba esistere e a quanto dovrà ammontare il debito pubblico che lasceremo alla generazione successiva alla nostra.
 
Stranamente, su questo problema dei problemi, i leader dei due schieramenti tacciono. Ma poi, a pensarci bene, tanto strano non è: anzi, è usuale che i leader si dedichino in maniera quasi clandestina ai problemi dei cittadini.
 
Uno dei risultati di ciò è la guerra tra bande nel governo fra la fazione a favore della spesa pubblica e quella a favore del rigore finanziario. Indipendentemente dalle ragioni dell’una e dell’altra, qualche considerazione può essere fatta.
 
La prima è che, con l’entrata in vigore dell’euro, i nostri debiti sono in moneta pesante, e non nella ballerina lira di un tempo. In sostanza, oggi non è più possibile pagare il debito pubblico mediante l’inflazione a due cifre della Prima Repubblica. E, comunque, quella non era una cosa bella. Tanti ricorderanno il Presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan mettere le mani in tasca, tirar fuori una manciata di spiccioli e spiegare che si era così trasformato un dollaro. Insomma, dobbiamo rassegnarci a pagarli, i nostri debiti. Oppure li lasceremo in eredità alla prossima generazione.
 
La seconda è che non tutte le spese sono eguali; come nel bilancio di ogni famiglia una cosa è la spesa alimentare di prodotti fondamentali come pasta, carne, latte, uova e così via, un’altra cosa è la spesa per un costoso abito firmato. E non è molto proficuo continuare a sperperare denaro in iniziative senza significativo ritorno.
 
La terza è che il livello della nostra spesa pubblica determina sino ad un certo punto lo status attuale della nostra economia: quest’ultima, ormai, ha più di mira il mercato estero che non quello interno. E’ il trionfo del Made in Italy.
 
Giusto o sbagliato che sia, assomigliamo sempre di più ai tedeschi. Non a caso i tassi di incremento delle due economie, dopo la crisi globale, sono praticamente identici. L’asse Roma-Berlino, a lungo vagheggiato da Benito Mussolini in campo politico e militare, si sta oggi attuando automaticamente in campo economico nella produzione manifatturiera per l’esportazione e nel suo valore aggiunto. Con grave smacco della perfida Albione, sconfitta e messa nei guai dal suo troppo far affidamento sulla finanza.
 
Comunque sia, la guerra fra bande di Ministri, significativa peraltro dell’alto grado di partecipazione alla gestione della “cosa pubblica”, dovrebbe, forse, lasciar posto ad un attento studio della volontà dei cittadini sull’eredità finanziaria che vogliono lasciare alle loro generazioni future.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.190) 25 novembre 2009 18:18

    DEDICATO AGLI ANTI-TUTTO
    ED AGLI OPERAI CHE POTRANNO COSI’ RITORNARE
    A SPERIMENTARE COME SI STAVA MEGLIO
    CON UNA FILOSOFIA DI VITA BUCOLICA E SILVESTRE

    Adesso andate a chiedere al vostro governatore antinuclearista il dr. Ugo Cappellacci come si fa a dare ad Alcoa l’energia elettrica allo stesso prezzo della Francia che produce tale energia per il 78% del suo fabbisogno con 59 reattori elettronucleari.
    Carissimi Lavoratori,
    (carissimi perché all’Alcoa in Italia costate tanto anche se in tasca vostra arriva poco)
    perché non bullonate il vostro governatore?

    Difficile vero!?
    L’avete votato voi e ve lo sciroppate.

    Mandi,
    Renzo Riva
    [email protected]
    349.3464656


    http://forum.radicali.it/content/radicali-e-energia
    Chi si deve dare pace sono il Nicola Atalmi (Pdci), Bersani, Lai e sopratutto gli operai dell’Alcoa di Marghera e del Sulcis che dovrebbero "bullonare" i sindacati tutti, per averli traditi per le esigenze dei Partiti dei quali erano la "cinghia di tramissione" del consenso e continuano ancora ad essere contro l’energia elettronucleare.

    T’ha capì caro deangelis?

    Mandi,

    Renzo Riva

    [email protected]

    349.3464656




    http://www.libero-news.it/adnkronos/view/228431

    ALCOA: LAI (PD) SCRIVE A BERSANI, EMERGENZA LAVORO IN SARDEGNA (2)

    (Adnkronos) - ’’Davanti a queste richieste - prosegue Lai - il nostro partito deve intervenire, fare sentire la sua voce e sostenere la vertenza di questi lavoratori. Per questo motivo chiediamo il tuo autorevole intervento con l’azienda e il Governo, coinvolgendo tutti i rappresentanti del Pd in parlamento, per trovare una soluzione. E’ essenziale che il Govetrno si faccia parte attiva nei confronti dell’Enel per un accordo tra l’azienda elettrica e l’Alcoa in grado di garantire a lungo termine costi adeguati e competitivi di energia e la permanenza della multinazionale nel Sulcis. Questa - conclude l’appello di Lai a Bersani - diventerebbe una soluzione duratura e capace di dare prospettiva solida all’azienda e ai lavoratori ponendo fine a quella che ormai e’ diventata una vera e propria emergenza sociale’’.



    Da: Renzo Riva <[email protected]>
    Oggetto: Emergenza costi energetici e del sistema elettrico italiano
    A: "Direttore Gazzettino" <[email protected]>, "Pordenone Gazzettino" <[email protected]>, "Gazzettino Redazione Udine" <[email protected]>, "Veneto Messaggero" <[email protected]>, "Veneto Messaggero" <[email protected]>, "Posta Il Piccolo" <[email protected]>, "Redazione Segreteria" <[email protected]>, "Friuli-vg Nuovo" <[email protected]>, "Furlane Onde" <[email protected]>, "Il Piave Redazione" <[email protected]>, "Maurizio Belpietro" <[email protected]>, "Vittorio Feltri" <[email protected]>, "Vito Monaco" <[email protected]>, "Telegiornale Rai 3 FVG" <[email protected]>, "Radio Spazio" <[email protected]>
    Data: Sabato 21 novembre 2009, 10:50

    Da pubblicare eventualmente come notizia del Nuovo PSI o lettera

    Come responsabile di Energia e Ambiente del Nuovo PSI della regione Friùli-Venezia Giulia denuncio l’immobilismo dei sindacati tutti che penalizzano i lavoratori continuando ad ostacolare il rilancio dell’energia elettronucleare indispensabile all’industria invece di richiederla a gran voce urgentemente.
    L’energia elettronucleare è la sola fonte che può cambiare la rotta dell’attuale deriva che altrimenti porterà il Paese alla bancarotta.
    La decisione assunta dalla multinazionale Alcoa per le sue unità del Sulcis è solo la punta dell’iceberg di un male che emergerà con virulenza con il disimpegno di altre industrie energivore.
    È da almeno sei anni che lancio appelli sull’allarme delocalizzazioni e sarò facile profeta di cui tutti potranno verificare le ulteriori chiusure e licenziamenti (le CIG sono solo dei licenziamenti nascosti) quando grandi gruppi industriali nazionali se ne andranno a produrre vicino ai mercati che per ora vengono definiti all’estero (Gruppo Pittini? Gruppo Fantoni? Altri?).
    I lavoratori sono i primi che pagano sulla loro pelle questo stato di cose con salari differenziati rispetto agli altri lavoratori europei.
    Pima per il fattore del costo energetico poi per i costi impropri delle "non decisioni" politiche e della macchina burocratica statale di oltre tre milioni di titolari di "sipendio a ruolo", proprio solo dei sistemi retti a collettivismo.
    Scopriremo, se lo vorremo, che fino a pochi anni fa eravamo di fatto un Paese dove si sperimentava il comunismo ricco, di tipo particolare, dove, grazie ai fattori geopolitici, in Italia si riversavano dollari in funzione anticomunista e aiuti (dollari non rubli) al partito comunista italiano confratello in funzione antiamericana.
    Oggi mutate le condizioni geopolitiche si sperimenterà il comunismo povero perché nonostante le cosiddette privatizzazioni, di fatto monopoli privati con accordi di cartello, constateremo che il lavoratore gestisce solo una piccola parte del proprio lavoro.
    L’azione liberale dell’associazione Futuragra con Giorgio Fidenato, che non assolve più come sostituto d’imposta la funzione di gabelliere per conto del fisco, porrà gli stessi lavoratori di fronte alla realtà di constatare dove vanno i frutti del loro lavoro; per altri invece solo i frutti del loro stipendio e della relativa partita di giro.


    http://www.libero-news.it/adnkronos/view/229570

    ALCOA: ATALMI (PDCI), GIUNTA VENETA ASSENTE

    Venezia 23 nov. (Adnkronos) - Il consigliere regionale veneto Nicola Atalmi (Pdci) denuncia ’’l’assenza del governatore del Veneto Giancarlo Galan e della sua Giunta all’assemblea odierna dei lavoratori dell’Alcoa di Fusina, multinazionale dell’alluminio che rischia di chiudere lo stabilimento veneziano’’.

    ’’Ancora una volta - denuncia Atalmi - nessun rappresentante politico della maggioranza di centrodestra che governa il Veneto si e’ degnato di essere presente per prendere impegni di fronte ai lavoratori nei confronti del governo nazionale e dell’Enel. Mentre in Sardegna l’istituzione regionale e’ in prima fila nel difendere i posti di lavoro dello stabilimento di Portovesme, in Veneto ne’ il presidente Galan, ne’ il suo vice Franco Manzato, ne’ l’assessore al lavoro Elena Donazzan si impegnano per contrastare il declino industriale del Veneziano e, in particolare, del polo di Marghera’’.

    Da parte sua Atalmi invita ’’i lavoratori a far sentire direttamente la propria voce a palazzo Balbi (sede della Giunta) e a palazzo Ferro-Fini (sede del Consiglio regionale)’’ e ricorda l’impegno assunto, insieme ad altri colleghi di opposizione, per far convocare una seduta straordinaria del Consiglio veneto dedicata ai problemi occupazionali di Porto Marghera.

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