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Tremonti, Berlusconi e il posto fisso

Dopo una tesi dal titolo “il mercato del lavoro in Italia: Il dibattito sulla flessibilità“, non hanno potuto non sorprendermi le recenti dichiarazioni del ministro dell’economia Tremonti, cui ha fatto seguito l’appoggio di Berlusconi: entrambi dichiarano, ad oggi, di credere nel posto fisso. Alle giravolte no global dell’eterno ministro dell’economia siamo abituati, ma la sfacciataggine con cui il Premier rincara la dose (”il posto fisso è un valore, come le partite IVA“) è davvero una presa per i fondelli.

Anno 2001. Da pochi anni la liberalizzazione del mercato del lavoro è un tema di dibattito politico e parlamentare tra i più attuali, e le novità introdotte con il pacchetto Treu del 1997 non bastano al nuovo governo Berlusconi, che vede Tremonti ricoprire la carica di ministro dell’economia. Seppellendo il clima di concertazione degli anni ‘90, uno dei primi provvedimenti è la stesura del Libro Bianco sul mercato del lavoro:

è del tutto evidente l’impossibilità del modello concertativo degli anni novanta di affrontare la nuova dimensione dei problemi economici e sociali…” (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il Libro bianco, ottobre 2001, pag. 31). Fin dalle prime battute è chiara la volontà di avviare a ritmi sostenuti il processo di flessibilizzazione: “mercato e organizzazione del lavoro si stanno evolvendo con crescente velocità, non altrettanto avviene per i rapporti di lavoro […] assai più che un semplice titolare di un ‘rapporto di lavoro’, il prestatore di oggi è un collaboratore che opera all’interno di un ‘ciclo’. […] Appare importante l’introduzione della nuova normativa del contratto a termine, nonché superare gli eventuali ostacoli normativi che frenano il ricorso a questa tipologia contrattuale.” E ancora: “Interventi correttivi appaiono urgenti per eliminare quegli ostacoli normativi che ancora rendono complicato l’utilizzo delle tipologie contrattuali flessibili […] il contratto a tempo parziale deve essere reso più usufruibile, intervenendo sulle cosiddette ‘clausole elastiche’ […] occorre prevedere nuove tipologie contrattuali che abbiano la funzione di ripulire il mercato del lavoro dall’improprio utilizzo di alcuni strumenti […] in quest’ottica, si segnala la proposta di introdurre il ‘lavoro intermittente’…” (il Libro bianco, pagg. XII – XIII). A riprendere i principali orientamenti proposti nel Libro bianco saranno il disegno di legge delega n. 848 e, nel 2002, un nuovo accordo tra governo e una parte dei sindacati, il Patto per l’Italia (al quale la Cgil non parteciperà), ma buona parte dei contenuti di questi due provvedimenti troverà applicazione nella legge delega n. 30 del 2003 (nota come legge Biagi), cui seguirà il decreto legislativo n. 276 del settembre 2003 di attuazione. Questa legge segna l’apice del processo di flessibilizzazione del mercato del lavoro italiano, e le novità che introduce la rendono di portata paragonabile allo Statuto dei Lavoratori.

Cerco di ridurre all’osso le più importanti novità introdotte: viene riformulata la disciplina del lavoro part-time, ridimensionando il diritto di consenso del lavoratore in merito al lavoro supplementare, e si indebolisce la libertà di accettazione dello stesso riguardo le clausole elastiche (la possibilità di modifica della collocazione temporale dell’orario di lavoro originariamente concordata), venendo meno anche il diritto di ripensamento del lavoratore. Il lavoro interinale viene sostituito dalla somministrazione di lavoro, con la nascita di un contratto stipulato tra l’impresa utilizzatrice e l’impresa utilizzatrice (l’agenzia interinale): uno degli effetti più nefasti è la privazione, per il lavoratore, “di qualsiasi capacità di negoziazione nei confronti dell’impresa utilizzatrice, quella in cui effettivamente lavora. […] una volta ceduta la sua merce-lavoro all’impresa somministratrice, il soggetto non ha più alcun titolo da far valere avverso l’impresa utilizzatrice, si tratti di condizioni di lavoro, orari, ambiente, retribuzioni o altro*”. Tralasciando la riveduta normativa riguardo apprendistato e lavori a progetto, le norme previste dalla legge Biagi hanno introdotto una vastità di forme contrattuali atipiche che hanno, di fatto, incentivato il fenomeno della precarietà, dato che i fan del posto fisso di oggi non hanno pensato a un minimo aggiornamento delle tutele e degli ammortizzatori sociali. Tra le nuove forme contrattuali più aberranti ricordo il lavoro a chiamata (o ad intermittenza, citato anche nel passo del Libro Bianco riportato poco sopra), un contratto “mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa […] per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente” (Decreto lgs. 276/2003, art. 33, comma 1 e art. 34, comma 1). Nei periodi in cui non è chiamato a svolgere la prestazione, il lavoratore percepisce un’indennità pari al 20 % della retribuzione prevista. Infine, la legge Biagi ha fatto saltare i limiti di utilizzo di contratti atipici entro la singola azienda che erano invece indicati nel pacchetto Treu.

Il tanto deprecato governo Prodi, nei suoi due anni di vita aveva provveduto a correggere (a mio avviso non abbastanza) alcune delle più nefaste novità introdotte dal governo Berlusconi - Tremonti: con l’accordo del 23 luglio 2007, oltre ad interventi sul regime pensionistico e sugli ammortizzatori sociali, viene abolito lo staff leasing e il contratto ad intermittenza, intervenendo anche sui contratti a tempo determinato.

Il duo Berlusconi - Tremonti non si è fatto attendere: pochi mesi dopo la vittoria delle destre, il governo attuale ha provveduto a cancellare gli efficaci (ma a mio avviso ancorsa insufficienti) interventi correttivi del governo di centro - sinistra. Con il decreto legge 25 giugno 2008 n. 112 è stato reintrodotto il lavoro a chiamata (lampante esempio di precarietà lavorativa), e si è provveduto ad eliminare un provvedimento di innegabile giustizia sociale: l’obbligo di comunicazione telematica delle dimissioni, per proibire la pratica delle lettere di dimissioni in bianco, è stato abolito dal governo Berlusconi con il medesimo decreto legge.

l’Epl, (Employment Protection Legislation), un indicatore che misura i vincoli legislativi posti in tutela dei lavoratori (ad esempio, una norma come l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori innalza l’indice Epl, mentre il contratto a chiamata lo riduce), proprio negli anni in cui le riforme per l’introduzione della flessibilità sono state attuate è crollato dal 3,57 del 1990 all’1,95 del 2003. Fu lo stesso Berlusconi, in un discorso a Wall Street nel 2003, ad annunciare come l’Italia avesse conseguito, grazie all’opera del suo governo, “il mercato del lavoro più flessibile d’europa“.

Tremonti e Berlusconi credono nel posto fisso? La parola ai fatti.

* cfr. L. Gallino, Il lavoro non è una merce, pag. 70, 2007.

Matteo B. Lucatello

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