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Potere e Follia

Il potere corrompe e la follia dirompe: “Se fai realmente parte degli eletti stai attento alla maniera con cui ottieni il potere” (Costantinos Kavafis).

Si narra che Federico II di Prussia una volta esclamò: "Se i miei soldati cominciassero a pensare, nessuno più rimarrebbe nelle mie file”. Questo pensiero breve e sarcastico ci spiega dunque che i potenti hanno bisogno, per portare a termine i loro nefasti progetti, di gente fedele e ossequiosa che per paura o per denaro li segua ciecamente nelle loro folli imprese di conquista e di sterminio. Ma purtroppo anche innumerevoli seguaci non sono poi così sani, come ipotizza Hugh Freeman nel suo libro “Le malattie del potere” (Garzanti, 1994).

Comunque in un esperimento Erich von Holst tolse ad un pesciolino della specie dei Cabacelli la parte anteriore del cervello, dove sono situate tutte le funzioni di gruppo. Konrad Lorenz racconta così l’accaduto: "Il cabacello senza cervello anteriore vede, mangia e nuota come uno normale, l’unico particolare aberrante nel comportamento è che non gliene importa niente se esce dal branco e nessuno dei compagni lo segue. Gli manca quindi l’esitante riguardo del pesce normale che, anche se desidera nuotare con tutta l’intensità in una determinata direzione, già dopo i primi movimenti si volta verso i compagni e si lascia influenzare dal fatto che alcuni lo seguano e quanti. Di tutto questo al compagno senza il cervello anteriore non gliene importa assolutamente niente; quando vedeva qualcosa da mangiare o se per qualsiasi altra ragione voleva andare da qualche parte, nuotava via con decisione, ed ecco, l’intero branco lo seguiva. L’animale senza testa era diventato appunto, per via del suo difetto, il capo indiscutibile”. Quindi se si ipotizza che la stupidità e la follia sono in massima parte presenti nei potenti, ne risulta che chi comanda potrebbe avere una zona del cervello molto disfunzionale. E il guaio è che nelle comunità umane anche chi obbedisce e segue l’autorità non sembra avere un cervello molto riflessivo e adattato.

Elias Canetti, un grande antagonista dei potenti, nella sua opera “Massa e Potere” sostiene che il potere significa autoconservazione ed è necessariamente stupido e violento, poiché non esiste istinto di conservazione che non abbia una tendenza aggressiva. E anche Arno Gruen afferma: "Chi si è votato al potere non avvicinerà mai i suoi simili su un piede di parità quantunque a voce dichiari il contrario: per costui, i rapporti con gli altri sono definiti soltanto in termini di potere o di debolezza, ed egli stesso deve accumulare potere il più possibile per diventare invulnerabile e dimostrarsi tale”.

Pure Barbara Tuchman nel suo libro sui conflitti umani intitolato “La marcia della follia. Dalla guerra di Troia al Vietnam” (1985) scrive: “La follia è figlia del potere (vi ricordo che per Erasmo la follia era figlia del denaro). Noi tutti sappiamo che il potere corrompe. Siamo meno coscienti del fatto che esso genera follia; che il potere di decidere spesso provoca la latitanza della riflessione”. La saggezza è quindi “l’esercizio di una capacità di giudizio fondato sull’esperienza, sul buon senso, sulle informazioni a disposizione” e sulla previsione di scenari futuri (p. 11). Nemmeno “la prigione non fa tacere idee il cui tempo è ormai maturo, fatto questo che generalmente fugge ai despoti che per natura sono governati dall’irrazionalità" (p. 80).

Inoltre l’assenza di una dominante ambizione personale e un sagace buon senso sono tra le componenti essenziali della saggezza, esemplificate dalla condotta di Solone che partì in un volontario esilio di dieci anni per evitare la possibilità di ritrattare delle leggi benevolmente accolte dalla popolazione ateniese. Invece troppo spesso i potenti si circondano di volgari adulatori: “Il più grave pericolo… sta nel fatto che circondato com’egli è di adulatori non ode mai la verità sulla propria persona e finisce col desiderare di non udirla“ (Papa Alessandro). Come nella Roma di Papa Alessandro, in molte capitali del mondo non si conosce nessuna legge e nessuna divinità; comandano l’Oro, la Forza e Venere” (Egidio da Viterbo, padre generale agostiniano). Accade tutto questo finché i potenti si dimenticano del crescente disamore della comunità, continuano a perseguire solo scopi di grandezza personale, si illudono di vivere in uno stato di invulnerabilità e fanno scoppiare le rivoluzioni (p. 150). Perciò “Uomini che pensano con la propria testa sconfiggeranno sempre la corruzione se saranno in numero sufficiente per farlo” (p. 169).

Infatti tutti sanno e tutti si dimenticano che l’eccesso di potere è la droga più pericolosa per qualsiasi potente. E la pigrizia mentale e la ricerca di status sono le altre droghe: “La posizione è il fine di metà delle fatiche della vita umana; ed è la causa di ogni tumulto e scompiglio, di ogni rapina e ingiustizia che la cupidigia e l’ambizione hanno introdotto in questo mondo” (Adam Smith). Proprio come accade nelle società delle scimmie più evolute. I primati umani vogliono sempre primeggiare: “Ogni qualvolta un uomo getta l’occhio con desiderio, nella sua condotta subentra il marciume” (Thomas Jefferson). 

Così la sicurezza del potere si fonda sull’insicurezza dei cittadini: la loro ignoranza e la loro codardia fa si che la minoranza di individui che hanno meno scrupoli, più intraprendenti, egoisti e malvagi (quelli con meno senso morale), conducano i loro simili verso il baratro dell’infelicità (Leonardo Sciascia). Anche le numerose e durature frequentazioni di politici da parte dell’economista John Maynard Keynes, lo portarono a pensare che: "Il mondo non potrebbe mai essere guidato dagli scettici... inclini a sospendere il giudizio... l’origine dell’azione va ricercata nell’ignoranza profonda e nella follia”. Ma forse la verità è che le persone sagge sono talmente rare e libere che difficilmente riescono a sopportare le catene e i lucchetti imposti dalle gerarchie, e così non possono far carriera nella società. E vengono rivalutati solo dopo la loro morte quando non possono danneggiare la carriera di nessuno (quella dei potenti e quelle dei meno potenti).

C’è purtroppo “una disposizione d’animo, assai diffusa in seno a tutte le nazioni, che fa sì che solo una piccola minoranza provi la voglia di sapere ciò che dicono “gli altri”; molti si accontentano della campana che lusinga le loro orecchie… si abbeverano soltanto alle sorgenti familiari, che davanti ai loro schermi cercano soltanto di rafforzare le loro certezze e di giustificare i loro risentimenti… Il comunitarismo è una negazione dell’idea stessa di cittadinanza, e non si può costruire un sistema politico civile su una base simile. Tanto è cruciale prendere in considerazione le diverse componenti di una nazione, ma in maniera accorta, flessibile e implicita, affinché ogni cittadino si senta rappresentato; tanto è pernicioso, e persino distruttore, instaurare un sistema di contingentamento che divida durevolmente la nazione in tribù rivali” (Amin Maalouf, Un mondo senza regole, 2009, p. 54 e p. 87). E questo riguarda anche i sistemi partitocratici e la suddivisione esasperata in tribù politiche come accade nell’Italia africanizzata.

Dopotutto “la burocrazia, ripetendo oggi senza correre rischi quello che ha fatto ieri, procede con l’ineluttabilità di un enorme computer il quale, una volta che ha incamerato un errore, lo ripete in eterno. Il burocrate sogna l’avanzamento… “Vogliono farsi rieleggere: e il principio guida per tutti è di soddisfare il maggior numero di persone e offenderne [mettere in dubbio o in crisi] il meno possibile” (Tuchman, p. 457). Solo la sincerità, il coraggio morale, la giustizia e la ragione priva di pregiudizi emotivi e cognitivi possono condurre una persona a fare le scelte giuste. E solo la limitazione dei diversi poteri e la vera alternanza nella gestione delle cariche e del potere può consentire ad una mente capace di mantenere delle condizioni ottimali di lucidità. La capacità di ricredersi, di cambiare strada, di riparare agli errori, la magnanimità sono le vere abilità politiche.

Come disse Antonio Gramsci: se non esistesse il principio “assoluto” per cui “il capitano, in caso di naufragio, abbandona per ultimo, nessuno prenderebbe impegni e opererebbe abbandonando ad altri la propria sicurezza”. Altrimenti “la vittoria del cattivo è automatica e naturale e solo un miracolo divino la può impedire; l’umanità cieca vaga per un labirinto, di cui nessuno conosce l’entrata, l’uscita e la struttura, e questo è ciò che noi chiamiamo storia” (Juan Donoso Cortés, Saggio sul cattolicesimo, il liberalismo e il socialismo, 1972). Inoltre, in quasi tutti i rapporti umani, “tutto quello che si ha diritto di fare, non sempre è bene farlo” (Benjamin Franklin).

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