Michele Santoro: il comunista ribelle e il ribelle televisivo
“Michele Santoro. Comunque la pensiate” (www.alibertieditore.it, 2009), è l’equilibrata biografia del giornalista più amato e più odiato dagli italiani. L’autore è Giandomenico Crapis, un medico appassionato di storia della Tv e della cultura di massa (ha pubblicato altri tre libri sulla Tv).
Santoro è nato nel 1951 e si è laureato in Filosofia a Salerno il 5 dicembre 1972 conquistando la lode, con una tesi sui “Quaderni dal carcere” di Gramsci. Successivamente rifiuta una nomina a professore e inizia a muoversi tra le fila del Partito comunista italiano. La giovane età e lo spirito ribelle lo spingono a discussioni polemiche e ad azioni molto discusse, viene estromesso dalle burocrazie dominanti e così inizia a muovere i primi passi da giornalista alla testata “Servire il popolo”. Successivamente crea e dirige il quindicinale “La Voce della Campania”, poi passa all’Unità” e al Mattino, scrive sceneggiati radiofonici e finisce a lavorare per la Rai al Tg3 (diretto da Luca Di Schiena con Curzi e De Luca condirettori).
Segue il suo esordio sullo schermo con la conduzione in prima serata di “Samarcanda”. “La conduzione del primo Santoro è di basso profilo: non incalza né aggredisce gli interlocutori, li lascia parlare e si limita a regolare il traffico delle parole… va in tv senza cravatta, suscitando prima di tutto la riprovazione paterna” (p. 61). Comunque “A Samarcanda, per la prima volta in maniera cadenzata e continua, diventano protagonisti assoluti temi semisconosciuti all’informazione in video: dalla mafia alla camorra alla ‘ndrangheta, dai sequestri di persona ai grandi misteri del Paese… si comincia a vedere il Sud, triste e dolente” (p. 62). Però la trasmissione adotta spesso un punto di vista buonista all’italiana e mira a volte alla commozione e all’indignazione un po’ troppo populista.
Più tardi subentra il secondo Santoro, più aggressivo e inquirente che si apre alla “piazza”: ”La gente che affollava le piazze di Samarcanda mostrava un’Italia rabbiosa, delusa, magari capace di semplificazioni assurde e pericolose. Ma c’era più vita vera in quelle piazze che nei buoni salotti della tv rassicurante” (Veltroni).
Nel 1996 scatta il primo allontanamento dal video: “Nella più stalinista delle logiche, il sinistro Michele è il primo epurato della Rai rossa. Escluso dalle nomine, anzi declassato con la revoca della direzione di “Tempo Reale”, costretto a emigrare dalla sua RaiTre e infine dall’azienda stessa” (Curzio Maltese, Repubblica, 29 agosto 1996). Poi si succedono i corteggiamenti berlusconiani, la parentesi berlusconiana e i primi problemi berlusconiani, con l’estromissione dalla Rai e la reintegrazione imposta dal giudice del lavoro (forse l’unica forma di giustizia che funziona e risponde in tempi decenti in questa Italia di giusti “giustiziati”).
Infine arriviamo ai nostri giorni: “dopo il boom di ascolti del 24 settembre anche giovedì primo ottobre l’audience è elevata. Ancora di più della settimana precedente. Oltre sette milioni di spettatori assistono alla puntata, un record assoluto per un programma di Santoro. Per rendersi conto del successo basta ricordare che la celebre “staffetta” contro la mafia del 1991 non era giunta a tanto” (p. 16). I toni vivaci e seriosi della trasmissione riescono quindi a competere vittoriosamente con le emozioni forti e disimpegnate dei film e telefilm in prima serata.
In conclusione emerge il ritratto di un Santoro innovatore che conduce il suo programma in piedi (poi imitato da Vespa in “Porta a Porta”) e la figura un Santoro romantico: “Ce lo dicono il suo incedere, i suoi cenni, la sua ritrosia, la sensazione che sappia celare il malumore ma conservare il rancore, l’improvviso trasalire, il costante riferimento, anche sotterraneo, alla necessaria prevalenza degli ideali sugli interessi. Ma ha dei preconcetti nei confronti di coloro che vuole emancipare. Sembra convinto che costoro non vogliamo effettivamente cambiare, e dunque assapora ogni tanto beatamente lo spirito marxista della contraddizione per cui ci sono sempre due logiche opposte, una evidente, l’altra da svelare” (Gian Paolo Caprettini, 2001).
P. S. Enzo Biagi era del parere che un giornalista non dovesse fare né il missionario, né il protagonista, ma dovesse semplicemente assumere il ruolo di testimone: “Se una faccia diventa più importante del fatto che racconta, non è più giornalismo”. Ma forse ai giorni nostri la cosa non è sempre applicabile: un moderno giornalista deve saper riordinare e reinterpretare la realtà.
Nota – Nel 2002 Santoro considera Berlusconi “un vigliacco che abusa dei suoi poteri per attaccare persone più deboli di lui, alle quali non concede diritto di difesa” (Corriere della Sera, 19 aprile 2002). Nel 2004 il Michele Santoro giornalisticamente “disoccupato” è stato eletto eurodeputato.
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