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La vendita dei beni confiscati e l’etica in insalata

Calpestare il senso più profondo della legge 109/96 è una vigliaccheria che piuttosto che finire con tante scuse nel lavandino in un momento di impunità (anche culturale) si è presa la briga di diventare legge.
 
Il riuso sociale dei beni confiscati alle mafie non è un particolare attuativo di un codicillo per collezionisti; quanto piuttosto il profumo fresco di una rapina a cuore armato compiuta ai danni del rapinatore. Se ci fosse la follia di pesare la bellezza in cui galleggiano le leggi, il riuso sociale delle porcilaie mafiose trasformate in castelli dagli stracci dei “guardiani del faro” che spolverano la vergogna sarebbe un fiore da tenere tra i capelli.
 
Monetizzare la bellezza è un rutto da papponi che mandano sul marciapiede la dignità di una nazione; è “mettere nel conto” il lavoro della magistratura e delle forze dell’ordine e riportare lo scontrino ai boss, coperto e pane incluso; è sedersi sulla tomba di Pio La Torre e bisbigliargli all’orecchio che è stato tutto uno scherzo; è ridurre la cura amorevole e dolorosa di un padre adottivo alle coordinate per un bonifico; è lasciare, ancora una volta, una legge di bellezza a marcire fuori dal frigo.
 
Ci dovrebbero raccontare perché, in un Paese in cui la moralità si conta in biglietti da 100, i beni confiscati non dovrebbero rifinire nelle mani delle mafie. Ci dovrebbero spiegare quando si è deciso che l’etica dei modi e e dei mezzi sia stata abolita senza che ce ne siamo accorti.
 
Le mafie nella propria pochezza culturale sono sempre state le regine obese al ballo dei simboli e dei segnali; il maxi emendamento presentato dal governo alla Legge Finanziaria che l’Aula del Senato ha approvato a maggioranza il provvedimento che introduce la possibilità di vendere i beni confiscati alla criminalità mafiosa (Emendamento 2.3000, relatore Maurizio Saia, PDL) e che stabilisce che se trascorsi i 90 giorni che devono intercorrere tra la data della confisca e quella dell’assegnazione – previsti dalla legge 575/65 – i beni non sono stati assegnati, essi possono essere venduti è una polka di riapertura verso la criminalità.
 
Per apparecchiare una tavolata con meno prodotti di LIBERA TERRA, ma per secondo un bel piatto di etica in insalata.
 

Commenti all'articolo

  • Di Marco (---.---.---.188) 28 novembre 2009 12:52

    In realtà già oggi esiste la possibilità che un bene sequestrato venga alienato.
    ora si vuol procedere regolamentando la materia e disponendo controlli incrociati ancora più stringenti.

    Sarebbe utile sapere cosa ne è di quegli immobili che marciscono, senza alcuna utilità sociale, poichè nessuna delle associazioni antimafia se li vuole tenere sul groppone. Libera in primis. Che ora si lamenta, ma intanto ha lasciato più volte che decorressero i termini per proporsi come assegnataria di quel bene sottratto alla criminalità!

    E’ vero, possono esserci dei rischi relativamente al fatto che i boss riescano a riprendersi i loro terreni, ma questa è solo una possibilità, pergiunta difficile da considerare credibile: quale mafioso tornerebbe a vivere nella casa o nel casolare dove è stato arrestato e tenuto per mesi sotto controllo? E quale mafioso tornerebbe a lavorare nella stessa proprietà di cui gli inquirenti conoscono ogni centimetro quadrato?

    Insomma, demagogia a parte, proviamo a partire dal motivo per cui è stato pensato quell’emendamento, ovvero: non tutti i beni sequestrati vengono poi assegnati perchè nessuno li vuole. Che farne? Lasciarli al loro destino o cercare di ricavarci del denaro da reinvestire nella lotta a Cosa Nostra?

    Suppongo che sarebbe di gran lunga più intelligente provare a studiare sistemi di controllo invalicabili, piuttosto che arroccarsi su posizioni inutilmente ottuse!

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