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Italia: debito pubblico troppo alto, non può indebitarsi ulteriormente
Concordo perfettamente sull’affermazione sotto riportata:
“Il termine economia keynesiana indica sia le teorie macroeconomiche riconducibili a John Maynard Keynes (1883-1946), sia le Politiche economiche a esse ispirate. Secondo Keynes, nel Capitalismo i Mercati non possono assicurare da soli un equilibrio di piena occupazione. Nei periodi di crisi, a causa di diminuzioni di reddito previste o effettive, che in caso di disoccupazione possono arrivare fino alla perdita dell’intero salario, i lavoratori dipendenti limitano i consumi, mentre gli imprenditori riducono gli investimenti a causa delle sfavorevoli prospettive di guadagno. La scarsità della domanda deve essere in parte compensata con la crescita della spesa pubblica, che non va finanziata con un aumento delle imposte ma con l’accensione di Crediti (deficit spending) (deficit della spesa) in modo da assorbire i risparmi improduttivi..”.
L’Italia con il suo alto debito pubblico in teoria non potrebbe indebitarsi ulteriormente, il problema però, è che il debito pubblico aumenta comunque lo stesso per compensare i minori introiti derivanti dalla diminuzione del gettito fiscale per effetto della recessione, ed esistono stime per cui raggiungerà a breve il 121% del PIL.
Per quanto sopra a mio modo di vedere sarebbe opportuno, per compensare i minori introiti, aumentare prima il debito pubblico per finanziare le infrastrutture (ad esempio necessarie ad incrementare il turismo) generando in tale modo la ripresa dell’economia e dei consumi.
Avremmo utilizzato il maggior debito pubblico, non per compensare i mancati introiti, ma per la costruzione di infrastrutture che servono a rilanciare l’economia ed al miglioramento della qualità della vita dei cittadini.
“L’Italia, si legge nel rapporto, PricewaterhouseCoopers (www.pwc.com/it/publications/... )del 12 maggio 2009 possiede il più ampio patrimonio artistico a livello mondiale con oltre 3.400 musei, circa 2.100 aree e parchi archeologici e 43 siti Unesco. Nonostante questo dato di assoluto primato a livello mondiale, il RAC, un indice che analizza il ritorno economico degli asset culturali sui siti Unesco, mostra come gli Stati Uniti, con la metà dei siti rispetto all’Italia, hanno un ritorno commerciale pari a 16 volte quello italiano.
Il ritorno degli asset culturali della Francia e del Regno Unito è tra 4 e 7 volte quello italiano. A fronte della ricchezza del patrimonio culturale italiano, rispetto alle realtà estere esaminate, emergono enormi potenzialità di crescita non ancora valorizzate.”
L’Italia è prima nel mondo per posizione geografica al centro del Mediterraneo, scrigno colmo di culture e tradizioni, per il mare, le sue spiagge, le isole che la circondano, il clima mite quasi tutto l’anno, la varietà delle sue coltivazioni ortofrutticole, vinicole, olivicole, la sua variegata gastronomia, il suo made in Italy, conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo, (maldestramente ma a volte anche egregiamente imitato,) che ha consentito all’Italia di primeggiare ed essere invidiata nel mondo per le sue peculiarità.
Ovunque nel mondo l’Italia è sinonimo di cultura, tradizione, buona cucina, sole, mare, vacanze.
Molti desiderano venire in Italia almeno una volta nella loro vita per trascorrere un periodo di vacanza, mentre altri desidererebbero trasferirsi per viverci definitivamente.
L’Italia è dunque, una delle prime nazioni del mondo, una nazione che ha molto da offrire.
Invece, sentiamo parlare di crisi, recessione, licenziamenti, aumento della disoccupazione. Ha forse l’Italia perso tutte le sue ricchezze e risorse, si è persa l’inventiva italiana, è forse cambiato il clima? Si sono perse le sue opere d’arte? I suoi prodotti enogastronomici, la sua tradizione culinaria?
La congiuntura internazionale, generata dalla mancanza di regole e di principi ha messo in crisi la finanza Americana ed internazionale.
Le banche, hanno storicamente assolto alla funzione di raccogliere denaro presso le famiglie e altri soggetti con propensione al risparmio per finanziare le imprese e chi ha bisogno di capitali, agendo da volano per l’economia, le borse permettono a imprese e investitori di incontrarsi, facilitando lo scambio di titoli finanziari quali azioni e obbligazioni.
Oggi invece la finanza viene associata alle continue e profonde crisi che hanno scosso l’economia mondiale a causa dello scoppio della bolla dei mutui americani, convinti che i prezzi delle case fossero destinati a crescere le banche americane pur di entrare nel mercato, considerato che la Federal Reserve (la Banca centrale USA), per sostenere l’occupazione e la crescita forniva loro enormi quantità di denaro con bassi tassi di interesse, ha portato le banche a sobbarcarsi di mutui sempre a più alto rischio, frammentando l’attività di concessione del credito a livello mondiale, e cedendo ad altri operatori finanziari prestiti da esse in precedenza erogati, tramite l’attività di cartolarizzazione.
Il rialzo dei tassi di interesse negli Stati Uniti ed il perseverare del rallentamento dell’economia hanno determinato lo scoppio della bolla immobiliare, con la conseguenza di un drastico aumento delle insolvenze, in particolare nel mercato dei mutui subprime (ovvero a clientela non primaria) statunitense.
Saltata la logica dei grandi gruppi Bancari, e i guadagni derivati dall’ingegneria finanziaria, le banche che possedevano queste cartolarizzazioni sono state chiamate a rispondere delle insolvenze, contagiando l’intera economia mondiale, in un clima di sfiducia generalizzato.
Il crollo della fiducia ha provocato una fortissima stretta creditizia nella “economia reale”, e i mercati delle obbligazioni societarie sono di fatto congelati, in Italia grazie anche alle recenti “performance negative” della Parmalat, Alitalia ed altri.
In questa situazione, anche un’impresa solida si trova in forte difficoltà dovuta al calo degli ordinativi derivanti dalla crisi Internazionale e nel reperire i capitali necessari al proprio funzionamento.
I tempi della Giustizia sono un elemento di fortissimo trascinamento verso il basso per l’Italia, anche in tutti gli altri indicatori internazionali. Le ricadute negative sulla crescita del Paese, sul benessere dei cittadini, sono evidenti.
Dal suddetto rapporto, uno dei principali freni allo sviluppo produttivo dell’Italia è dato proprio dalla lentezza dei processi, che genera incertezza negli scambi e scoraggia gli investitori.
Il confronto che colpisce maggiormente in negativo è quello sul funzionamento della giustizia nelle controversie commerciali: siamo in 156esima posizione (su 181 paesi), addirittura dopo Etiopia, Zambia, Nigeria, Algeria, Congo paesi da noi ritenuti “terzo mondo”.
Per quanto riguarda il carico fiscale e previdenziale sui profitti, e per la complessità del sistema tributario nazionale che impone alle aziende altri costi, in termini di competitività. «complessità degli adempimenti fiscali e contributivi» e «tempo necessario a gestirli», l’Italia si colloca all’ultimo posto nella graduatoria della Unione Europea e al 128° nel mondo, con una pressione fiscale complessiva tra tasse sul reddito societario, imposte sul lavoro e altre forme di prelievo che raggiungono il 73% degli utili.
Siamo al 27° posto solo, nel chiudere un attività, unica posizione nei primi 30 della classifica.
I rapporti tra i cittadini e tra i cittadini e lo Stato, sono regolati dalle leggi e la loro applicazione è demandata alla Giustizia.
Quando il mancato rispetto delle regole - leggi non viene censurato, si crea nella collettività un clima di sfiducia verso le Istituzioni, e prevalgono i cittadini più spregiudicati.
Una giustizia inefficiente crea notevoli complicazioni per il cittadino , il quale non viene tutelato nelle libertà elementari o nell’espletamento della propria attività.
La mancanza della Giustizia come punto di riferimento ha creato e crea incertezze nei cittadini e nelle Istituzioni.
I tempi lunghi della Giustizia, mettono a rischio la sopravvivenza stessa dell’impresa, per la impossibilità, ad esempio di incassare un credito rilevante, o per il mancato risarcimento di un danno subito.
E’ necessario, che vengano analizzati e rimossi tutti gli OSTACOLI ALLA CRESCITA E ALLO SVILUPPO.
Intanto, i cittadini italiani sempre più poveri a causa della crisi, incassano ogni anno uno stipendio che è tra i più bassi tra i Paesi Ocse, con un salario netto di 21.374 dollari, l’Italia si colloca al 23esimo posto della classifica dei 30 paesi dell’organizzazione di Parigi, crolla il Pil come afferma l’Istat del -5,9%, il peggiore dal 1980.
Le entrate tributarie continuano a calare: secondo Bankitalia si sono attestate, nel primo trimestre 2009, a 81,016 miliardi, ovvero circa 4 miliardi di euro in meno rispetto agli 85,075 dei primi tre mesi del 2008, la diminuzione percentuale è del 4,8%.
Secondo l’Istat rispetto a marzo dello scorso anno il fatturato dell’industria Italiana è diminuito del 22,6 %, in calo ulteriore dello 0,8 % rispetto a febbraio 2009. In crisi gli ordinativi che a marzo hanno registrato un calo del 26% rispetto a marzo 2008 e del 2,7% rispetto a febbraio 2009.
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