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Il futuro della Regione Marche? 1 parte

Negli ultimi mesi, scorrendo i quotidiani e i giornali di categoria emergono inquietanti prospettive per l’economia della Regione Marche. Inquietanti non per gli effetti della crisi, ma per l’assoluta inefficacia del supporto reale da parte delle istituzioni, del sostegno reale all’oramai scomparso modello marchigiano.
Vediamo perchè.

I limiti del vecchio modello marchigiano
La Regione Marche sta vivendo un periodo particolare. Da una parte il cosiddetto modello marchigiano non esiste più. Basato sul self made man e legato alla crescita di grandi gruppi o di grandi aziende, vive la sindrome dell’indotto che non c’è più. Dall’altra parte chi resiste o anzi chi sviluppa ha già abbandonato l’ottica di lavorare secondo un modello basato su molto ingegno, molta flessibilità, ma poco marketing oriented, pochi effetti rete, evitando di mettersi in discussione con la logica dei mercati con un campanilismo a volte esagerato e poco produttivo di effetti positivi. Ma le realtà sono poche di fronte al fenomeno. La crisi ha evidenziato questi limiti, già conosciuti nel passato dal sistema bancario, ma oggi in maniera più che evidente agli occhi di tutti.
 
Istituzioni ed associazioni di categoria
Le associazioni di categoria faticano anche loro ad essere avanti con le iniziative che non vadano al di là della creazione di opportunità (istituzionali) all’estero, spesso però mancanti di un fattore: le aziende spesso non sono pronte al cambiamento di visione per essere esportatori, anche di nicchia; creano corsi di formazione basati su logiche del recente passato e non sono in grado di aprire percorsi reali alle aziende.
 
Dalla produzione al turismo?
Da ultimo si sta spostando la soluzione dei problemi di un territorio produttivo ed artigianale verso mere chimere del turismo. L’ultima goccia è stata quella di spedere più di 1,4 milioni di euro per un grandissimo testimonial: Dustin Hoffman. Perché? Perché le Marche, che hanno un territorio morfologicamente non predisposto ad accogliere grandi flussi di turisti e in cui il campanilismo non permette di effettuare logiche serie di marketing, tariffe e servizi secondo logiche manageriali, per diventare una vera regione ad alto assorbimento turistico necessita di enormi investimenti di infrastrutture (vedi la Romagna in quanti anni ha sviluppato servizi, strutture, ma soprattutto mentalità) e non potrebbe mai recuperare in poco tempo i futuri disoccupati del settore industriale in un’area turistica ancora da costruire. Non vedo un artigiano che passa ad essere un albergatore, un ristoratore magari sì, ma non manager di strutture turistiche.
 
Futuro? Certo, ma come?
La domanda che ci si pone, fuori da ogni aspetto politico, è: che cosa si sta facendo strutturalmente per aiutare quanto è ancora in piedi? Non sono i contributi forniti dalle provincie e dalla Regione che risolvono il problema; servono solo a giustificare una corretta attività degli enti, ma con un ritorno sia economico interno che di effetti leva molto limitato.
 
Nessuno ha mai saputo come si può passare dall’essere un indotto ad un sub-fornitore: basta spesso tentare di andare fuori dall’uscio di casa.
 
Il futuro è legato ad una presa di coscienza che è ora di cambiare. Poche sirene, meno sfruttamento della politica verso il sistema, ma soprattutto bisogna far emergere la coscienza del cambiamento obbligato e non aspettare che qualcosa accada. Meno istituzioni, meno lamentele e olio di gomito da parte di chi sino ad oggi ha rischiato.
 
 
 
 
 

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