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Cultura, scritture, eventi, Pasolini: analisi-incontro con Patrizia Caffiero

Patrizia Caffiero, leccese d’origine, si è laureata in Lettere e Filosofia. Attualmente vive in provincia di Bologna, ad Anzola dell’Emilia dove lavora. Ha fondato e organizzato il festival di poesia Versinscena, ha curato numerose iniziative artistiche e collaborato ad eventi. Ha pubblicato all’interno dell’antologia ‘Quote Rosa’ (Fernandel, 2007 a cura di Gianluca Morozzi e Grazia Verasani) e il libro ‘Guarda che prima o poi Dio si stancherà di te’ (Meraviglia Editore, 2007). Nell’antologia ’FOBIEril’ edita da Jar (2009) c’è un suo racconto.
E’ rintracciabile on line nel blog ricco di spunti personali, miscelazioni, collegamenti: Recensioni e pagine di diario.
 
[Primo giorno di scuola]
 
Hassan, 6 anni (Kossovo)
 
Hassan sta dormendo appoggiato al banco.
Ad un certo punto noto una macchia d’acqua che scende come un fiumiciattolo sulla manica del grembiule dove ha posato la testa. Lo tiro su: sta piangendo in silenzio da almeno un quarto d’ora, a giudicare da come è bagnato di lacrime e sommerso in un muco giallastro.
(‘Guarda che prima o poi Dio si stancherà di te’- incipit )
 
Inizia così ‘Guarda che prima o poi Dio si stancherà di te’, un libro dove Patrizia Caffiero si avvale della forma del diario per narrare l’esperienza personale come ‘educatrice non qualificata’ in una scuola elementare della periferia bolognese e in altre scuole materne e medie di Bologna dove Patrizia ha lavorato nei servizi di anticipo e posticipo l’orario normale.
E’ un libro di voci. La Caffiero resoconta senza filtrare, la sua di voce c’è ma è minimale, essenziale, esprime ciò che prova senza inquinare il ‘visto, sentito, ascoltato’ da volti, bocche e gesti di bambini di nazionalità diverse, caratteri ed esperienze che li rendono unici nonché gli adulti che sono genitori, educatori, operatori delle strutture.
Ed è un libro all’apparenza ‘facile’, si legge velocemente, si passa da un’inquadratura a un’altra con stacchi diretti entro un linguaggio che si svincola da strutture narrative dilatative. C’è l’essenziale, senza aggiunte formali o stilistiche.
Eppure. Ciò che la Caffiero riporta, i dialoghi brevi coi bambini, reazioni, giochi, litigi, silenzi, scene tratteggiate dall’occhio di una scrittura acuta, sensibile; tutto questo colpisce molto forte. Perché l’immediata percezione di chi legge è quella di trovarsi di fronte a un ‘teatro del reale’ dove ciò che accade è stato, in luoghi e tempi diversi, ma è stato, è successo e l’autrice ne ha registrato i dettagli importanti.
 
 
Abdullah, 7 anni (Marocco)
 
Non sono mai riuscita a entrare in comunicazione con Abdullah. Silenzioso, sempre tranquillo, sfuggente. Non mi guarda negli occhi, non mi bacia, non mi abbraccia come fanno invece gli altri bambini. Se gli accarezzo i capelli un po’ crespi, si allontana bruscamente. Se gli do piccoli regali, mi ringrazia freddamente e tutto finisce lì.
Alex mi dice che Abdullah vive in una casa famiglia.
 
ALEX – Non ha padre. Ha la madre, ma le hanno tolto l’affidamento. Non so perché.
 
Un giorno in classe entra una graziosa signora con lunghi capelli ricci e neri. Mi dice timidamente che è la madre di Abdullah. Ha un pacchetto in mano, lo tende al bambino. Lui la ignora e mantiene per tutto il tempo della visita gli occhi fisi al pavimento.
(pag. 56 – Guarda che prima o poi Dio si stancherà di te di P.Caffiero, Miraviglia Editore)
 
 
E’possibile reperire materiale anche on line sul libro QUI.
 
Ma Patrizia Caffiero non si ferma alle parole del libro o a quelle rintracciabili nel web.
Glielo chiedo direttamente.
 
Patrizia, mi racconti com’è nata la narrazione di ‘Guarda che prima o poi Dio si stancherà di te’? E perché pubblicare, dunque divulgare, un’esperienza di questo tipo che coinvolge i bambini ed equilibri familiari e sociali delicati, fragili?
 
La narrazione di questo libro è nata dapprima perché non riuscivo a contenere l’esperienza che avevo appena finito di vivere. Ho provato prima a trascrivere in versi quello che avevo provato durante l’anno scolastico trascorso come “educatrice non qualificata”in alcune scuole elementari e medie di Bologna, soprattutto nel quartiere Pilastro. Ma non funzionava. Ho trovato sollievo in una narrazione asciutta, quasi fotografica. Piccole storie assemblate insieme, quasi verbali, resoconti, rapporti.
Per alcuni mesi ho catturato ricordi come se utilizzassi un retino per farfalle. Per favorire questo processo mi servivo di un cd di Pat Metheny e Charlie Haden (che cito anche nel libro). Non avevo preso appunti. Le scene vissute si riformavano nella retina, si condensavano come latte cagliato e potevano ricadere sul foglio. Alla fine del racconto, ho asciugato più volte le pagine da miei giudizi e commenti su quello che vedevo. Questo tipo di scrittura ha generato letture molto diverse del libro. Diciamo che mi piace che chi legga possieda spazio per pensare e ricreare altro in un margine bianco della pagina.
La prima motivazione della scrittura di questo testo è stato quello legato a un bisogno di catarsi. Non mi aspettavo un’esperienza così forte, prima di cominciare a lavorare con i bambini avevo sempre creduto di non amarli particolarmente. Entrare in contatto con loro così profondamente ha cambiato anche me, oltre che alcuni di loro. Calmatesi le acque, ho compreso anche dagli argomenti venuti fuori dal pubblico delle presentazioni del libro che avevo anche denunciato, che avevo testimoniato; raccontato cose atroci, ingiuste, insopportabili, anche armoniose qualche volta; soprattutto di come a scuola non si favorisca quasi mai la creatività, il talento, l’armoniosa gestazione e crescita della personalità complessa dell’individuo. Dico individuo perché il bambino è un individuo, non una semipersona, non è il diminutivo della parola essere umano, o come credono alcuni maestri un riflesso di sé da controllare e far agire a proprio piacimento. Questi maestri, si capisce abbastanza bene, a loro volta, probabilmente, da bambini, sono stati fuorviati dal sistema scolastico, oltre che da altre situazioni che hanno vissuto nell’ambiente familiare. Ho cambiato i nomi ai bambini e alla scuola e omesso alcuni episodi. Una delle bambine ha letto con me la parte che la riguardava e ne abbiamo discusso. La sua famiglia non lo so, ma con i nomi cambiati la privacy è tutelata, se era questo, anche, che volevi sapere.
 
 
So che attualmente stai anche scrivendo. Perché Patrizia Caffiero scrive? Quali sono le storie che senti di voler narrare?
 
Non scrivo nulla che non abbia vissuto. Non mi interessa, per ora, inventare dei personaggi. Quello che ho vissuto e vivo è sempre stato ed è talmente romanzesco che non ne sento il bisogno. Sono completamente autobiografica. Mi interessa in generale la relazione, il contatto con gli altri, quello che accade nell’impatto fra due o più mondi interiori; cosa crea all’esterno quell’impatto, le differenze, gli incontri, gli scontri. Mi interessa trovare l’insegnamento che esiste nel nodo di ogni momento che vivo. In piccola parte, poi, rispetto alla vita bevuta, ne scrivo. Quello che scrivo è il rivolo che cola dalla massa oceanica. Certo, credo che la mia scrittura sia interessante perché il contenuto autobiografico è lavorato stilisticamente, diventando qualcos’altro che potrebbe succedere anche ad altri, non solo a me. È la tecnica che lo permette. Un lavoro artigianale.
 
Veniamo adesso a un altro nodo, centrale per la tua formazione, Pier Paolo Pasolini. Mi vuoi raccontare quando hai iniziato a leggerlo e come si è sviluppata questa ‘conoscenza’?
 
Non ricordo quando ha cominciato a innamorarmi di Pasolini, ero molto giovane. Ho letto, visto tutte le sue opere, e studiato la saggistica che lo riguarda. Credevo che dopo vent’anni circa che lo studio, Pasolini potesse esaurirsi, stancarmi, cerco i suoi limiti; ne trovo alcuni; lo rileggo decine di volte, ma non accade: Pasolini non è consumabile, emana una vigoria e un’intelligenza radiante che mi ha formato e che continua a sostenere il mio percorso. Questo accade anche perché è un unicum in Italia; se devo trovare altri maestri o stimoli letterari, li trovo da altri paesi. Pier Paolo Pasolini è uno scrittore impuro, non governabile, non rientra in etichette critiche rassicuranti, nessun letto di Procuste può funzionare per lui; la sua buonissima formazione scolastica e universitaria non l’ha reso un accademico, l’italietta provinciale non l’ha reso un provinciale. Quanto di più interessante sia esistito in Italia: infatti è studiato in molte parti del mondo.
 
In questo periodo ti stai occupando di un saggio proprio su Pasolini. Senza voler anticipare nulla ma considerando che di Pasolini in Italia e all’estero si è detto e scritto molto, ti chiedo: Perché Pier Paolo Pasolini, oggi? Perché scriverne ancora e in che modo, toccando quali argomenti?
 
Ho risposto prima, in parte, a questa domanda. Non conosco ancora molti libri scritti all’estero su Pasolini. La saggistica su Pasolini in Italia non mi ha soddisfatto granchè. Una buona parte degli studiosi pasoliniani non assomiglia per niente, purtroppo, a chi stanno studiando; e ha lenti troppo accademiche e categorizzanti che non leggono efficacemente la sua opera e la sua vita; alcuni, banalmente, lo invidiano molto perché è un collega (era anche critico abilissimo, si sa), ha avuto cento volte più successo di loro, quindi scrivono su di lui soltanto per evidenziare lacune di vario tipo; Pasolini mentre è analizzato sul tavolo del laboratorio (frase continiana che adorava usare) scappa di qua e di là, fugge dal bisturi. Le endiadi continue: ha un profondo senso del sacro ma è laico, è gentile, generoso con chi lo circonda, puro ma conosce il lato oscuro della realtà come pochi; scrive stupendamente poesia ma usa anche, dichiaratamente, la “brutta scrittura”, è un gay dichiarato ma ama riamato bellissime donne, eccetera; è urticante in mille modi, troppo disordine, va a graffiare il buon senso pacioccone del tipico accademico italiano prigioniero del suo salotto carino ingombro di libri, da dove praticamente non esce quasi mai; non esce ad annusare la vita e a sporcarsi le mani con pericoli reali o a parlare con le persone. Pasolini lo faceva sempre, come dimostra anche il tipo di morte in cui è incappato. Questo per dire che c’è molto da scrivere, ancora, su Pasolini. Come scrive Gianni d’Elia in L’eresia di Pasolini, l’esegesi di Pasolini passa necessariamente la sua stessa visione della vita. Non ce ne sono molti, quindi, di buoni saggi su di lui. Gli argomenti che mi interessa approfondire di Pasolini sono legati all’etica, alle sue prese di posizione, al cambiamento che generava intorno a lui prima e dopo la sua morte.
 
Infine, una domanda quasi di rito: quali sono gli autori parte della tua formazione? E quali quelli che hai scoperto e apprezzato in tempi più recenti?
 
Sintetizzo, però! Soprattutto gli scrittori di romanzi. Gli autori letterari preferiti sono stati e sono disparati, di provenienze diversissime. Ho letto tutto quello che ho trovato sin da quand’ero una bambina, classici italiani e stranieri ma anche romanzi appartenenti a generi considerati – a quale torto!- minori come la fantascienza, il noir, il fantasy. A quattordici anni restai impigliata nella Trilogia della Fondazione di Asimov. Ho letto tutto Gabriel Garcia Marquez, mi sono formata sull’energia atomica di Oriana Fallaci (trovo Un uomo il più importante romanzo del Novecento) Andavo a periodi: per tre anni ho letto tutto il noir quasi in ordine cronologico, per poi innamorarmi a lungo solo di Stephen King (del primo periodo soprattutto). Pregnanti sono stati Anais Nin, Henry James, Karen Blixen più di molti altri. In blocco ho trangugiato i russi, gli ebrei americani, i sudamericani, i francesi. Ultimamente mi è sempre più difficile restare stregata da un libro: mi sono piaciuti Le ore di Michael Cunningam, L’anno del pensiero magico di Joan Didion. Sono attratta (come lo sono stata da Un uomo) sempre di più da quelli che chiamano libri- verità: Un figlio diverso di Portia Iversen; Il sogno di mio padre di Barack Obama mi hanno attraversato, formato. Mi interessa moltissimo certo teatro di ricerca, il cinema, la musica. Mi ha formato la buona televisione. Anche i testi di certe canzoni.
 
Recentemente hai partecipato al Festival della letteratura e delle arti di Asuni (qui il link del progetto). Mi racconti quest’esperienza vissuta da ’dentro’? C’è differenza, secondo te, tra questo festival e altri in giro per l’Italia? E’ ancora possibile arricchirsi, ascoltare, condividere tra artisti diversi, incontri pubblici ed eventi?
 
Asuni è un paesino di 400 anime in provincia di Oristano. La Festa della letteratura e delle arti di Asuni è un luogo privilegiato, magico. Lo dirige un poeta di grande livello, Alberto Masala, che ha invitato attraverso le sue cinque edizioni artisti come Jack Hirschman, Serge Pey, Carmen Yanez, Pablo Armando Fernandez…
Come accade spesso in Italia per eventi che privilegiano la qualità, non soltanto la spettacolarità, questo festival non riceve finanziamenti adeguati alla sua importanza, alla ricchezza di contenuti e spunti offerti.
Sono stata invitata quest’anno a presentare Guarda che prima o poi Dio si stancherà di te, visto che il tema della Festa di quest’anno chiamava in causa vari aspetti del villaggio globale, e il mio libro tratta l’interazione fra i bambini stranieri e quelli italiani nelle scuole. Per tre giorni intensi artisti, cittadini, persone interessate alla manifestazione che vengono da fuori coabitano negli spazi dei reading, delle installazioni di arte visiva, lungo le stradine, nella grande sala adibita alla ristorazione. Gli eventi si succedono a catena in diverse lollas non più abitate, le case contadine del villaggio. La Festa di Asuni, la vedo come una specie di bolla d’aria pura, una sacca di resistenza in cui ci si scambiano informazioni, titoli di libri e libri veri e propri, contatti. Ospita artisti provenienti dall’estero e italiani, mostra la fioritura di idee, di situazioni spesso rimosse, nascoste, che in Italia brulicano sotto la pelle dura e ottusa della rozza cultura dominante. Ad Asuni ci si sente come ritornati a casa; si prendono nuove energie per continuare il proprio viaggio.
 
 
 
Ringrazio Patrizia Caffiero.

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