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Crisi occupazionale nel Mezzogiorno: ultimi dati Istat

"La stabilità economica e la pace sono da sempre strettamente collegate - soprattutto nei paesi più poveri - la crisi potrebbe portare a disordini sociali, instabilità politica o al collasso della democrazia, e infine alla guerra" (Strauss-kahn, direttore generale del Fondo Monetario Internazionale).

La rilevazione sulla forza lavoro viene diffuso dall’Istat attraverso un comunicato periodico trimestrale - il 22 settembre scorso il nostro Istituto di Statistica ha pubblicato sul suo sito i dati del secondo trimestre dell’anno in corso.

Spesso si sente discutere i nostri politici sui "numeri", sul come vengono costantemente utilizzati al fine di demolire, o di elogiare la politica economica di un governo - ma il quadro che si può dedurre dall’analisi di quegli stessi numeri non può che suscitare preoccupazione, per non dire allarme.

Seguendo i dati l’Istat ci informa che - "Nel secondo semestre 2009 il numero di occupati risulta pari a 23.203.000 unità, in forte calo su base annua (-1,6 per cento, pari a -378.000 unità)".

In un solo anno il tasso di occupazione ha segnato meno 1,6 per cento - ma sono i dati del mezzogiorno che ci hanno impressionato - su 378 mila persone che hanno perso, rispetto a un anno fa, il lavoro, 271 mila sono residenti al Sud - con una flessione delll’occupazione del 4,1 per cento.

Il tasso di disoccupazione a livello nazionale è pari al 7,4% - nel mezzogiorno sale addirittura al 12% - al sud, in controtendenza rispetto all’andamento del paese, diminuisce la forza lavoro che si mette alla ricerca di una nuova occupazione, in quanto si è convinti di non riuscire a trovarlo - si è perso in una vastissima area del paese qualunque fiducia, tanto da svilire il morale dei meridionali al punto di essere consapevole che per trovare un’occupazione che permetta di sopravvivere, bisogna emigrare.

L’occupazione al sud è diminuita a ritmi molto superiore rispetto ai dati nazionali anche nel primo trimestre di quest’anno - con un -0,3% a livello nazionale, e -0,8% nel meridione.

La nuova disoccupazione ha colpito soprattutto le piccole attività autonome, commerciali e artigianali, tutti i piccoli imprenditori: -3,5%



Ma per la prima volta dal quarto trimestre del 1995 la disoccupazione ha riguardato anche contratti di lavoro dipendente, -1%, soprattutto tra coloro che avevano un contratto di lavoro atipico, ma anche quanti lavoravano a tempo indeterminato.

E’ curioso che nel mezzogiorno la percentuale di coloro che cercano lavoro sia scesa del 3% - i dati Istat non fanno altro che tracciare un quadro d’insieme basandosi su dati registrati regolarmente - ma non possiamo fare a meno di supporre che dietro quella cifra si nasconda l’incognita del lavoro nero per il quale ogni stima risulta essere vana.

Lavorare al sud significa non solo lavorare a nero, ma anche in maniera parzialmente in regola - si fanno otto ore di lavoro, ma ai fini contributivi ne vengono registrati la metà con relativo profitto del datore di lavoro in termini di evasione fiscale.

I dati sulle vendite del commercio fisso al dettaglio diffusi dall’Istat - pubblicati in un altro articolo e riferiti al mese di luglio - non lasciano supporre altro che l’aumento della crisi occupazionali almeno fino alla fine dell’anno.

La "ripresa" che tutti auspicano per il 2010 non è una "Verità", di essa non possiamo esserne certi, ma possiamo prevedere, senza essere dotati di chissà quali eccezionali poteri, che se continuiamo ad illuderci con l’ottimismo senza affrontare questa sfida globale, ma lasciando che ci scorra addosso, tra qualche anno l’Italia che ne verrà fuori potrebbe essere anche molto peggiore di quella attuale.

Le pressioni indipendentiste potrebbero prendere il sopravvento approfittando non solo della paura per la diversità - diverso è l’extracomunitario, diverso è il meridionale, ma diverso è anche colui che ti "ti ruba il lavoro", quel poco lavoro che rimarrà in poche aree della nazione.

Allora si dovrà fronteggiare non solo la crisi capitalistico-finanziaria globale, ma anche quella cagna rabbiosa che si chiama mafia e che si nutre e prospera ai limiti tra il lusso sfrenato dei boss e la miseria nera di una manovalanza affamata.
 

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