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Cina. La crisi è già un ricordo, ora il Paese salverà l’occidente

Mentre in Europa e Stati Uniti è in corso uno stucchevole dibattito sul fatto che la crisi sia finita o se siamo ancora nel turbine, l’economia comunista cinese ha già archiviato il problema e continua la sua corsa, senza nazionalizzazioni e lasciando al mercato la sua regolazione.

L’economia cinese viene considerata una notizia dalla asfittica stampa italiana solo in occasione di scandali, veri o presunti, o di problemi di concorrenza erroneamente attribuiti a politiche di dumping anziché, correttamente, alla perdita di produttivitaà delle produzioni occidentali. O quando vengono sequestrati qualche milione di pezzi contraffatti, dimenticando che l’Italia rimane ai primissimi posti per quantità di merce contraffatta.
 
Una notizia vera, di importanza mondiale, di cui ho visto solo flebili tracce nella stampa italiana, riguarda il dato sul PIL cinese relativo al terzo trimestre 2009. La crescita è stata del 7,9%, praticamente quell’8% promesso dal Presidente Hu Jin Tao e dal Premier Huen Ja Bao all’inizio dell’anno. (Ricordo che l’Italia chiuderà l’anno con un meno 4,9).
 
La crisi, praticamente. è già archiviata. Converrà riassumere in poche righe come si è svolta in Cina. Alle prime avvisaglie di crisi, quando la Cina registrava comunque una crescita del PIL al 4% (molto sotto le aspettative del Governo, ma mai tecnicamente in recessione), che hanno provocato la morte di decine di migliaia di aziende nel Guangdong, l’area manifatturiera più forte della Cina, con una stima di 20 milioni di disoccupati, il governo ha stanziato un primo lotto di finanziamenti di sostegno pari a circa 800 miliardi di Dollari, e qualche mese dopo ha investito ulteriormente circa 600 miliardi.
 
Somme impressionanti, che non sono però andati a coprire buchi finanziari di banche o aziende, (la cina "comunista" non ha nazionalizzato alcuna attività finanziaria o industriale) ma sono state destinate ad un imponente piano di ristrutturazione e incremento delle infrastrutture, sulla base di piani già predisposti, e che sono semplicemente stati attivati in quattro e quattr’otto. Potere della pianifcazione!
 
Soldi quindi che sono davvero entrati nell’economia reale, attivando immediatamente la ripresa dei consumi interni (che su base annua stanno crescendo del 15%, dopo un brevissimo periodo di rallentamento, ma senza mai crescita negativa).
 
Se andiamo a vedere i dati export europei, troveremo che tutti i tradizionali mercati di sbocco dei nostri prodotti, in particolare il tanto osannato Made in Italy sono al tracollo (vino, moda, meccanica di precisione, mobili, ecc.). Le uniche aree in cui i nostri prodotti sono ancora fortemente richiesti, sono i Paesi asiatici e il Brasile. (In Cina il consumo di vino importato crescerà del 25% nel 2009). Non solo quindi la Cina ha risolto in modo rapido e relativamente poco cruento la crisi, ma, paradossalmente, saranno i consumi cinesi a sostenere le economie occidentali, aiutandole ad uscire dalla crisi. (Cosa pensate sia venuto a chiedere ai Cinesi l’ossequioso Presidente Obama qualche giorno fa, se non a richiedere il rafforzamento delle Yuan, rendendo quindi di nuovo competitivi i prodotti americani e al contempo meno attrattivi i prodotti cinesi in America?).
 
Ma la Cina ha fatto di più. Approffittando della morìa delle imprese manifatturiere a basso valore aggiunto, (auspicata peraltro da anni dalle Autorità cinesi, consapevoli che il Paese non avrebbe potuto sostenere a lungo la competitività basandosi solo sul gap del costo del lavoro), il Governo cinese ha impresso una impressionante accellerata agli investimenti stranieri basati su Ricerca e Innovazione e sulle attività legate all’ambiente, con forti incentivi fiscali alle aziende rigorosamente selezionate, capaci di dimostrare vera attivita’ di ricerca e sviluppo. Per le imprese italiane, che per anni in maniera totalmente miope ha pensato alla Cina come ad una miniera di salariati (e prodotti) a basso costo, è finita la pacchia. Sul piano della Ricerca e Sviluppo il nostro sistema economico non c’e’ per nulla. Sul piano della penetrazione commerciale, salvo casi importanti e meritevoli, siamo praticamente assenti come "Sistema Paese", con aziende troppo piccole per questo mercato, sottocapitalizzate e incapaci di aggregazioni. La Cina ha voltato pagina. Per il sistema Italia si è chiuso il libro.

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