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Un romanzo che sembra un film di Tarantino

Caleidoscopio. Sapete cosa succede quando guardate dentro uno di quei cilindri di cartone o di metallo con dentro tanti pezzi di vetro colorati? Agendo sul meccanismo di rotazione del cilindro, modificate la disposizione di quei pezzi di vetro e appare ai vostri occhi un’immagine di volta in volta diversa e scintillante. E’ questa l’impressione che ho ricevuto leggendo il sorprendente primo romanzo di una giovane scrittrice esordiente: “Dove vanno le iguane quando piove” di Antiniska Pozzi (Cabila Edizioni).

Al centro del romanzo stanno due storie di donne, che vivono a Milano: Olivia e Dora.

antiniska

La prima tornando un giorno a casa trova nel suo appartamento il cadavere di uno sconosciuto. Non presenta segni di violenza. Sembra semplicemente un uomo addormentato. Olivia si fa delle domande e cerca di darsi delle risposte:

Uno che dorme: sul pavimento di casa mia? Ma come è entrato? Poteva almeno mettersi sul divano! Ma se è morto? Poteva almeno morire sul divano…

Non è un morto di mia “competenza”, pensa Olivia, forse “appartiene” a qualcuno dei vicini. Invece di chiamare la polizia, si mette in testa di andare dai vicini a chiedere se il morto, per caso, è loro. Come se, invece di un morto, avesse scoperto nel suo soggiorno un gatto intrufolatosi per caso nel suo appartamento. Decide quindi di andare a bussare alla porta di ognuno dei suoi condomini, entrando in contatto con storie e persone inattese.

Dora, la seconda protagonista del romanzo, è una precaria di trent’anni, che vive con un fratello che consegna le pizze a domicilio e che odia il genere umano. Dora ha fatto un errore. Ha letto “Il deserto dei Tartari”.

[...] ormai non riesce a tenere il culo sulla stessa sedia per più di tre mesi senza sentirsi lì, su uno degli avamposti della Fortezza Bastiani. Si sente che la stanno fregando perché non arriverà nessun Tartaro, nessuno, e allora lei non ci resta alle dipendenze di quell’idiota del signor Bellasi, che non sa neanche cos’è, lui, la Fortezza Bastiani”.

Fosse un verbo, Dora sarebbe un condizionale. Vorrebbe scrivere un libro “come la metà degli abitanti del pianeta Terra”, ma in cuor suo spera “che gli arrivi a casa uno di questi giorni già pubblicato e anche impacchettato con i compliementi dell’editore”.

Dora desidera continuamente fare qualcosa che non ha il coraggio di fare. Tipo non ripresentarsi in ufficio dopo la pausa pranzo, lasciando sulla sua scrivania, a mo’ di ultimo messaggio per il suo deprimente capo ufficio un bel disegno “con un gran bel dito medio alzato che svetta su una mano chiusa a pugno”.

Mentre si inebria in questa fantasticheria e si gasa nei confronti del suo capo, insultandolo mentalmente (“stronzo incravattato”, “sottospecie di decerebrato”) riceve una telefonata proprio da lui e così gli risponde:

“Pronto? Buongiorno, signor Bellasi, mi dica. Sì, d’accordo, lo faccio subito. A dopo”.

E sì che tra i suoi sogni di donna un po’ Fantozzi, un po’ Malussene c’è anche questo, che confida al fratello:

“Quando squilla il telefono immagino di rispondergli “Stronzo?” con l’intonazione con cui direi “Pronto?”. Poi non lo faccio, per fortuna, ma fino all’istante prima in cui apro la bocca per emettere suono sono sicura che glielo dirò! Un incubo, non posso andare avanti così…”

Ma la stralunata Olivia e la velleitaria Dora non sono che le prime attrici del romanzo.

Perché, come ho detto sopra, il libro è un caleidoscopio.

Non solo ci sono infinite variazioni di registro, ma appaiono sempre nuove figure, descritte in maniera incisiva e vivacissima.

Come l’antropologo Victor Luiz Pereira, vicino di casa di Olivia, che fuma cinquantanove sigarette al giorno, la cui casa sembra “un tempio in rovina” con le cataste di libri che oscillano dappertutto, pronte a sgretolarsi al primo tocco.

“Victor Luiz Pereira ha i capelli bianchi e gli occhi verdi. E’ l’uomo più vanitoso della città. [...] Ogni mattina si alza alle sette, si schiarisce la voce, si accende la prima Belmont della giornata e pronuncia un nome di donna, dicendo: ‘è un buon nome per il mio romanzo’. Quasi sempre è il nome della donna che la sera prima lo ha accompagnato a casa”.

Oppure come Arda Cavallini, la “grassa locandiera” del Caimano Triste, il caffè frequentato da Victor.

“…Una donna d’altri tempi, sebbene non sia chiaro quali. Ha polpacci che sembrano lì lì per esplodere, trattenuti dalle calze a rete grossa, rigorosamente bianche, come la camicetta con le maniche a sbuffo, che la fa sembrare una Biancaneve grassa, espansa, dalla consistenza della pasta del pane. [...] Cammina instancabile su e giù per la cucina, ancheggiando pericolosamente come solo certe femmine sanno fare [...] E’ una donna con molte attrattive: le mani corte sempre infarinate e imburrate, il grembiule strizzato sul seno sconfinato e quel nome quel nome… Arda. Una sirena erotica, un nome grasso, rotondo, da affondarci dentro la testa”.

Ma ci sono anche una centenaria dai poteri paranormali, tre fratelli malavitosi, un decoratore cileno che nasconde un segreto nella vasca da bagno…

Dove vanno le iguane quando piove” è un romanzo colorato, rumoroso, imprevedibile, molto “cinematografico”.

Una lettura diversa dalle solite, ma anche, grazie ai suoi continui cambi di registro e al linguaggio, una piccola lezione di stile.

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