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Un problema italiano: le carceri

La morte ingiusta e assurda di Stefano Cucchi e il suicidio della militante delle nuove Br Diana Blefari sono serviti, almeno, a far parlare del problema carceri in Italia, ignorato e censurato da anni. L’art. 27 della Costituzione, inapplicato come purtroppo accade alla maggior parte della nostra carta fondamentale, stabilisce che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".

Non è questa al momento la situazione in Italia. Molti cittadini provano verso i carcerati un senso di fastidio, nella migliore delle ipotesi, o di odio, senza conoscere affatto le storie delle persone che si trovano in prigione. Alcuni, è vero, sono stati condannati per reati violenti come l’omicidio e lo stupro ed è difficile provare compassione per loro. Eppure bisognerebbe anche capire che non serve a nulla odiare queste persone, rinchiuderle per anni e poi sperare che escano migliori di come sono entrati. Serve un percorso di recupero e un sistema di sorveglianza anche dopo la fine della pena, che eviti fenomeni di ripetizione dei crimini che sono un po’ troppo comuni. 

La maggioranza dei detenuti però è dentro per reati meno gravi e per periodi più brevi. Innanzitutto i furti: la gente comune odia i ladri perché se ne sente vittima, quasi tutti hanno subito prima o poi un furto piccolo o grande, ma anche in questo caso la prigione così com’è non serve assolutamente a nulla. Lo stato spende da 150 a 300 euro al giorno per ogni detenuto. Da 4500 a 9000 euro al mese. Senza contare le spese dei processi. Bisognerebbe riflettere su quanto sia assurdo spendere, per punire un ladro, dieci o cento volte tanto quello che lui ha rubato.

Oltretutto mentre i responsabili di crimini violenti spesso vengono individuati, è noto che la maggioranza dei ladri riesce a farla franca. Ne consegue che il carcere non serve nemmeno come prevenzione del reato, perché la gran parte dei ladri ha buone opportunità di non finire in galera. La punizione dei ladri in Italia poi è particolarmente ingiusta quando vediamo che chi commette reati finanziari molto più gravi, cioè sottrae molto più denaro, riesce sempre a evitare il carcere in un modo o nell’altro. La prima cosa da fare per prevenire i furti sarebbe quello di creare sussidi di disoccupazione che in Italia non esistono, già così si eliminerebbe il problema di chi ruba per necessità. La seconda cosa sarebbe creare dei percorsi lavorativi per recuperare socialmente chi ha commesso un furto, altrimenti sperare che dopo qualche mese di galera non ritorni alla sua vita precedente è pura utopia. 



Un altro gruppo di detenuti sono quelli che hanno commesso reati legati alla droga, come accaduto a Stefano Cucchi. Queste persone non sono davvero pericolose e punirle con il carcere non ha il minimo senso, a meno che non siano grossi trafficanti legati alla criminalità organizzata. La verità è che le droghe non sono veramente più dannose dell’alcool e dei farmaci, sono state dichiarate illegali per motivi completamente arbitrari, e quindi il loro consumo si può limitare solo con misure alternative al carcere, come periodi di servizi sociali e percorsi di recupero. Infine ci sono gli immigrati, che spesso finiscono in prigione per piccoli furti o piccolo spaccio di droga ma anche soltanto perché sono immigrati, come accade oggi nei CIE. Anche qui lo stato spende fino a 3000 euro al mese per imprigionare un’immigrato che non ha commesso nessun reato. Si otterrebbero maggiori risultati regalando biglietti aerei ai clandestini e regolarizzando chi ha un lavoro. La furia punitiva favorita da certe leggi (ma solo verso i reati dei poveri, perché verso i reati dei politici e dei ricchi c’è massimo garantismo e il carcere mai) non serve insomma a nulla, oltre ad essere contraria alla Costituzione. 

Per non parlare di quanto sia contraria al messaggio cristiano, che invita a perdonare i nemici, rispondere al male con il bene, visitare i carcerati e tante altre cose che la maggior parte dei cattolici italiani non fa e non ha nessuna intenzione di fare. Il loro cattolicesimo si sveglia solo quando bisogna essere contro qualcosa: contro gli omosessuali, contro la libertà delle madri di decidere se avere o meno un figlio, contro la libertà dei laici di non volere un’educazione religiosa per i propri figli. Invece, quando un povero Cristo muore in carcere anche se non aveva fatto nulla di male a nessuno o viene respinto in mare o imprigionato solo perché è straniero, chissà perché le proteste dei cattolici italiani sono molto più timide.

Eppure le priorità indicate da Gesù sono molto chiare in Matteo 25, 34-46: non si parla di fecondazione assistita, crocifissi nelle aule, matrimoni gay o aborto. Si parla di affamati, assetati, malati, stranieri e carcerati

Commenti all'articolo

  • Di pv21 (---.---.---.154) 6 novembre 2009 12:21

    Quanto buonismo seminato a piene mani. La lista dei reietti è quasi interminabile. Diamo ad ognuno ciò che desidera e prima di tutto il nostro perdono? Quando si ha la vocazione del giornalista missionario il mondo offre ben altre possibilità per mettere concretamente alla prova la carica umanitaria. Una cosa è vera. In una comunicazione presidiata da Untori della parola c’è spazio per tutte le voci. (x altro => http://forum.wineuropa.it

    • Di Francesco (---.---.---.58) 6 novembre 2009 13:37

       Il "buonismo" non è una vergogna ma un onore, in un paese sempre più ignorante e cattivo. Qualcuno c’è ancora che non è cristiano solo di facciata, ma cerca di esserlo davvero. 
      E ragionevole, perché le carceri come sono ora non servono a nulla. 

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