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 Home page > Attualità > Politica > Tiene sempre banco la questione meridionale

Tiene sempre banco la questione meridionale

Sono stati recentemente pubblicati:
 
· il secondo saggio del Ministro Renato Brunetta sulla questione meridionale, intitolato Sud – Un sogno possibile, Donzelli editore, pagine 194, costo di Euro 16,00;
· gli Atti del Convegno su Mezzogiorno e politiche regionali tenutosi a Perugia il 26-27 febbraio 2009, pagine 745, facilmente reperibile su Internet;
· l’intervento d’apertura del Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi del Convegno Il Mezzogiorno e la politica economica dell’Italia, tenutosi a Roma alla presenza del Capo dello Stato il 26.11.09, anch’esso facilmente reperibile su Internet.
 
Il tutto mentre il Governo pone in cantiere due importanti iniziative, e precisamente l’avvio della costruzione del ponte sullo stretto di Messina e la creazione della Banca per il Sud.
 
Insomma, avrebbero di che essere contenti i meridionali perché tutti si occupano di loro; salvo un dettaglio, purtroppo determinante: tutti questi studi e tutte queste iniziative sono posti in essere da soggetti che ben poco conoscono della realtà meridionale.
 
Certo al Ministro Brunetta qualcosa non quadra: nel rileggere quanto egli ha scritto nel lontano 1995 trova il suo pensiero ancor valido, eppure è evidente il fallimento di ogni iniziativa politica contro l’arretratezza del Mezzogiorno. Il dubbio di non prenderci lo sente, ma le sue idee gli sembrano buone e sente il dovere di difenderle e di rilanciarle.
 
Eppure a Roma, proprio alla Camera dei Deputati, non molti anni orsono vi era qualcuno che profondamente conosceva i veri problemi del Meridione. Era un uomo di cultura e si chiamava Leonardo Sciascia. Della sua attività ci parla il saggio Un onorevole siciliano – Le interpellanze parlamentari di Leonardo Sciascia di Andrea Camilleri, editore Bompiani, 189 paginette, Euro 12,00.
 
Si riporta un brano del suo intervento nella seduta del 6 marzo 1980 sul fenomeno della mafia, ed in particolare la citazione della relazione che il procuratore della repubblica di Trapani, Pietro C. Ulloa, inviò all’allora ministro della giustizia, Parisio, in data 3 agosto 1838 (siamo all’epoca di Ferdinando II di Borbone).
 
«Non vi è impiegato in Sicilia che non sia prostrato al cenno di un prepotente e che non abbia pensato a trarre profitto dal suo ufficio. Questa generale corruzione ha fatto ricorrere il popolo a rimedi oltremodo strani e pericolosi, Vi ha in molti paesi delle Fratellanze, specie di sette (….) senz’altro legame che quello della dipendenza da un capo, che qui è un possidente, là un arciprete. Una cassa comune sovviene ai bisogni ora di far esonerare un funzionario, ora di conquistarlo, ora di proteggere un colpevole, ora d’incolpare un innocente. Il popolo è venuto a convenzione coi rei … non è possibile introdurre le guardie cittadine a perlustrare le strade ; né di trovare testimoni pei reati commessi in pieno giorno».
 
La differenza fra Pietro Ulloa ed i suoi attuali epigoni sta in questo semplice particolare: egli non parlò per sentito dire, per ipotesi e per congetture, bensì si recò in Sicilia, esaminò con attenzione quel che vi accadeva e cercò di capirlo.
 
Certamente siamo in grado di studiare una popolazione senza conoscerla direttamente, questo ci accade ad esempio con quelle che non esistono più come gli Incas; il risultato, però, è una conoscenza infinitamente meno precisa. Il primo indice di poca comprensione della questione meridionale è la mancanza di distinzione fra la criminalità mafiosa e la corruzione dei funzionari pubblici.
 
Entrambe hanno come obiettivo il denaro altrui, ma chi lo persegue ed il modo di perseguirlo sono ben diversi, così come è diversa la sua influenza sull’economia e sulla società meridionali.
 
Nel primo caso gli autori del reato sono esponenti della malavita che ricorrono agli attentati, alle uccisioni, alle minacce a mano armata, et similia; nel secondo caso sono funzionari dello stato che utilizzano le loro prerogative per ricattare i cittadini che si rivolgono alla Pubblica Amministrazione. Il congiunto esercitarsi dei due tipi di reato porta all’abbandono di interi settori dell’economia (quelli dei contratti con la Pubblica Amministrazione ad esempio) da parte dei soggetti rispettosi delle regole, soppiantati da soggetti criminali, i quali sanno anche bene come affrontare i pubblici dipendenti ricattatori. Insomma, come dicono gli economisti, la moneta cattiva caccia sempre via la moneta buona.
 
Di queste due tipologie di reati lo Stato, attualmente, contrasta in maniera efficace solamente la prima, totalmente o quasi disinteressandosi della seconda. Ciò innanzitutto perché ben pochi hanno una chiara percezione dei due diversi ma concordanti e contemporanei fenomeni; e poi perché le forze dell’ordine ed i magistrati sono pur sempre funzionari pubblici e non si muovono facilmente contro loro colleghi. Insomma, come si suol dire, “cane non mangia cane”. Ed invece questo problema, come dice Ulloa, viene per primo.
 
In conclusione l’attuale attenzione all’eterna questione meridionale avrebbe risultati concretamente positivi solamente se gli esponenti della politica e della cultura visitassero a lungo il Sud e se leggessero con grande attenzione gli scritti di Leonardo Sciascia. Solamente così comincerebbero a fare quello che adesso non gli riesce: capirci qualcosa.

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