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Sicilia la frattura continua

Povera Sicilia, sempre più lacerata, fratturata al suo interno. La frattura, non la coesione, sembra essere il segno distintivo di questa lunga fase di decadenza che parte dalla politica e si estende all’economia, all’amministrazione, all’intera società. Coesione che non vuol dire ammucchiata per vie traverse ed oscure come le “geometrie variabili” invocate dall’on. Micciché all’indomani del varo del suo Pdl Sicilia e della drammatica assemblea del Pd dove si è giunti ad una rottura clamorosa e pericolosa, forse, perché si sono scambiati i programmi con gli organigrammi. 
 
Ma aggregazione intorno a un progetto lungimirante di chiaro cambiamento, fondato sulla partecipazione democratica e non sul protagonismi di leader che hanno le ali tarpate.
 
In Sicilia abbiamo già troppi capi e sottocapi, non solo in politica. Quello che occorre è una espansione della democrazia verso forme e istituti più vicini agli interessi dei cittadini.
 
Invece, vediamo la politica, specchio e motore di questa frattura, rinchiudersi in se stessa, dilaniata da una rissa perenne, col centro-destra impotente e frantumato e il centro sinistra incartato e un Pd ambiguo e ora anche spaccato.
 
Insomma, siamo al caos o nelle sue immediate vicinanze. Lo spettro dell’ingovernabilità si aggira sull’Isola come ai tempi bui degli anni ’50, quando - come riferisce Graziano Verzotto nella sua biografia - Aldo Moro, ricevendo una delegazione siciliana della Dc, ne diede un’efficace pennellata: “Più giorni passano, più ammiro i Borboni, perché erano capaci di governare due Sicilie, mentre noi non siamo neppure in grado di governarne una sola”.
 
Ora Miccichè pretende la verifica della maggioranza. Ma di quale maggioranza? Di quella, legittima, uscita dalle urne o di quella che si vorrebbe inciuciare, caso per caso, nei meandri mefitici della palude siciliana? Vedremo. 
 
L’opinione pubblica segue sconcertata gli accadimenti e non comprende cosa stia succedendo e soprattutto fin dove ci potrebbe portare questa tendenza.
 
A me pare che - come più volte abbiamo segnalato - siamo nel pieno di una tempesta politica centrata sulla destrutturazione dei partiti, evocata e favorita da Raffaele Lombardo come unica (sua) speranza per far sopravvivere il suo governo-bis.
 
Egli sa, perfettamente, che può affermarsi solo attraverso lo sconquasso dei partiti di maggioranza e d’opposizione. Dovrebbe sopravvivere, ubbidiente e granitico, soltanto il suo MpA per farne sementa pregiata con cui fecondare il deserto che si sta apparecchiando.
 
Fuor di metafora, siamo in presenza di un disegno, inconfessato quanto disperato, che sta affossando la regione e trasfigurando il ruolo e la struttura delle rappresentanze politiche espresse, nel bene o nel male, dal voto popolare.
 
Nessuno nega l’urgenza di una riforma profonda e radicale della politica e della regione, ma non è certo questo il metodo per realizzarla.
 
Si sta sfasciando tutto, ma per far cosa? Correttezza vuole che prima di distruggere l’esistente se ne indicasse l’alternativa. Insomma, c’è un progetto? E qual è?
I siciliani sono fermi al programma elettorale del centro- destra che ha portato Lombardo alla vittoria. Oggi quella maggioranza è scoppiata, frantumata in mille rivoli e del suo programma restano solo brandelli, rare tracce, a fronte di alcune confuse novità. 
 
Da un primo, sommario bilancio di queste due esperienze governative (in 18 mesi!) si può rilevare che la cura si sta rivelando peggiore del male.
 
La posta in gioco è alta, ne va del futuro della Sicilia e dei siciliani. Le preoccupazioni non nascono da ragioni di appartenenza, di schieramento di destra o di sinistra. Solo si desidera sapere dove si vorrebbe andare a parare. L’opinione pubblica ha il diritto di saperlo e chi governa ha il dovere di dichiararlo. L’impressione è che, per questa via, ci sia poco da costruire e molto da intrigare e da minacciare. Giacché il barcollante edificio del potere si regge solo sulla minaccia, più volte ventilata, dello scioglimento anticipato dell’Ars. 
 
* pubblicato, con atro titolo, in La Repubblica del 10/11/09

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