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Presidenziali in Cile: il liberale Pineda, il Berlusconi di Santiago, vince il primo turno

Il risultato del primo turno segna la pietra tombale del ventennio totalitario del defunto Antonio Pinochet e conferisce buone probabilità di vittoria ad una destra presentabile. 

Ieri in Cile si è tenuto il primo turno delle elezioni presidenziali che devono designare il successore di Michelle Bachelet, la prima donna ad entrare nel Palazzo della Moneda, sede della Presidenza della Repubblica del paese andino. Quelle di quest’anno sono anche le prime elezioni presidenziali che si svolgono, sulla soglia del ventesimo anniversario della fine della dittatura di Augusto Pinochet, senza più l’ingombrante presenza del caudillo, passato nel frattempo a miglior vita, e dei suoi nostalgici sostenitori che sinora avevano impedito la nascita, dalle parti di Santiago del Cile, di una destra liberale e democratica.

Ieri il miliardario Sebastian Pineda, moderna incarnazione liberale della destra sudamericana sinora più che altro sensibile al tintinnare di sciabole dei militari che storicamente e ciclicamente sono soliti rovesciare ogni tanto i singoli governi democratici del subcontinente al fine di tutelare gli interessi economici di pochi eletti, ha riportato un ottimo e lusinghiero 44% dei voti validamente espressi. Distanziato il leader democristiano, Eduardo Frei, il cui nonno fu Presidente del Cile sino al 1970. Quest’ultimo, dopo essere stato sconfitto quell’anno alle Presidenziali dalla sinistra, si schierò contro il socialista Allende appoggiando il putch militare di Pinochet. Frei ha conseguito solamente il 30% dei voti. Al terzo posto, con un lusinghiero 17%, si è classificato l’indipendente Marco Enriquez Omimani, figlio di una vittima del regime di Pinochet poi adottato da un notabile socialista di Santiago. Giovane, ambizioso e rampante, Ominami sarà l’ago della bilancia nel duello tra Pineda e Frei al decisivo turno di ballottaggio.

Tutto lascia supporre, e la Democrazia Cristiana cilena lo spera vivamente, che Ominami intenda appoggiare Frei non fosse altro per una sua comprensibile e radicata diffidenza nei confronti della destra. In tal caso Frei, che quasi sicuramente incasserà pure il sostegno della sinistra di Jorge Arrate che ha conseguito ieri un buon 6%, potrebbe sperare in un clamoroso recupero e diventare il successore di Michelle Bachelet nel segno della continuità di governo. Bisogna però rimarcare a proposito che la Presidente uscente, molto popolare nel paese, serba comunque rancore nei suoi confronti giacché i notabili democristiani cileni nulla hanno fatto, in questi ultimi sei anni, per facilitarle il compito alla guida della più solida democrazia sudamericana preferendole da sempre, per la successione, un membro della famiglia Frei, i padri-padroni del partito cileno di maggioranza relativa. Ieri però molti cileni, specialmente gli appartenenti ai ceti popolari, hanno deciso che fosse l’ora di mandare definitivamente i Frei a casa. Forse non ci riusciranno se Ominami appoggerà il centrista al ballottaggio, però da ieri dalle parti di Santiago è rinata un’alternativa di destra presentabile e dalla foggia occidentale che sembra aver messo in soffitta le tradizionali voglie di putch delle destre sudamericane intendendo invece conquistare e mantenere il potere con i normali strumenti democratici.

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