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Lettera a Lazar

Un fenomeno europeo. 
Dice Lazar, su L’Unità: “È evidente un processo di mutamento della democrazia italiana: si afferma una democrazia dell’opinione e del leader che è fenomeno europeo ma da voi ha aspetti peculiari. Il leader è sempre più forte, è al centro dell’attenzione, seduce l’elettore. La conseguenza è la personalizzazione della politica. Però, attenti: in Italia ci sono i contropoteri“. Continua Lazar, politologo e professore a Sciences Po di Parigi e alla Luiss di Roma: “Possiamo anche dire che la democrazia è malata, ma siete sicuri di essere gli unici malati d’Europa? [...] Certo l’Italia ha le sue specificità, a cominciare da Berlusconi, dal conflitto di interessi e dal suo enorme potere televisivoPerò penso che non sia vero che in Italia la democrazia è in pericolo o che ci sia il fascismo“.
 
Un’eccezione italiana.
E mi permetto, dall’infimo del mio nulla, di dissentire. Che la figura leaderistica del capo del governo nei paesi europei sia diventata dovunque più “muscolare” è tutto da dimostrare. Annovero un “capo maternalistico” ma non ottuso in Germania, un presidente di parte, espressione dei propri elettori senza istanze impositive in Spagna, un leader di governo debole e squinternato in Gran Bretagna. Un premier, certo, forse iconicamente potente in Francia: guai, però, ad accomunare la leadership carismatica di Sarkozy ad un sottoprodotto dell’imprenditoria prestata all’affarismo come il nostro. Basta, se converrete, dare una scorta alla tv francese, ai suoi messaggi istituzionali (che, affascinato, mi hanno mostrato un grado di democrazia cento volte più evoluta della nostra, dei nostri spottini terrificanti sul teatro con Letta: un altro stadio), la libertà di critica della rete di stato. I dibattiti on air, seduti fisicamente al tavolo di una discussione attorno ai massimi sistemi, mai isterica.
 
Blocco digitale. 

Dice, l’accademico, che nel nostro paese la democrazia non è in pericolo. Stupisce. Perché: perché ha le basi per prendere contezza del contrario. No, ed è vero, non siamo al fascismo. Non vorrei mai che si sottovaluti l’impianto a reticoli edificato dal nostro capo di governo. Che, piuttosto che assumere i motteggi coattivi della fisicità dittatoriale, sfianca e annichilisce la possibilità di una partita onesta, lealmente democratica. Ed è presto detto: come la mettiamo con la revoca alla partenza del canale di Sky “Cielo” sul digitale terrestre? E la stessa storia col digitale stesso, opera di qualcuno e frutto dello stesso individuo (nei panni del laborioso fratello)? O vogliamo forse dimenticare la storiella “Europa 7“, la terrificante inazione alla quale è stato relegato il suo proprietario, forte – ricordo – di fior di sentenze?
 
Fatti e norme. 
Potremmo, a corredo, raccontare gli oscuri principi dell’ascesa economica e politica del premier in questione. Ma, ammetto, non farebbe accademia (se solo Weber avesse parlato, anche soltanto per qualche riga, della Edilnord!). Vogliamo forse citare i meccanismi decisionali in sede politica? L’uso sfrontato e anomalo di decretazioni urgenti e mozioni di fiducia? Sia chiaro: le annoto solo affinché i duri di comprendonio ricordino che base della democrazia è la separazione dei tre poteri fondanti, altrimenti (e così è) sviliti nelle infauste mani degli attuali regnati. Che, immagino, il professor Lazar conosce piuttosto bene. Parla di potere televisivo, e va bene. Gli fa seguito un “però”. E stona, francamente. Non credo di ricordare una situazione similare alla nostra, parlando di media, nel resto dell’occidente. Il che comproverebbe la tesi dell’anomalia italiana rigettata dal professore. Ma questo lui lo sa.
 
TeleLazar. 
Potrebbe tentare, il nostro, di definirci il termine “regime“. Che erroneamente associamo, in ipertesto forzato, ai sistemi di governo autoritari del primo 900. Potremmo definirlo. La storia ci ricorda le esperienze più varie, le contraddizioni inestinguibili: porrei sul tavolo la democrazia ateniese, detta tale ma in verità cinica oligarchia fondata sulla segregazione sociale, razziale, sessuale. Potrei ma non voglio, è lunga e annoiaDemocrazia la chiamiamo, ma tale non era. Non mi gioco neppure la carta Sartori, che giorni fa bollava la “democrazia populistica” in stile Chavez (e anelata da B.) come la peggiore delle forme di governo. Gli anticorpi, comunque aggiunge, sembra di scorgerli. Ci elenchi, se ne ha voglia, numero e indirizzo di questi agglutinamenti di razionalità eversiva. Provi, il caro, a tenere lezione per 4 settimane, a reti quasi unificate. Incessantemente. Magari, un bel dì, saremo d’accordo con lui.
U‘

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