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La vicenda Cosentino e la riforma penale

La recente richiesta di emissione di una misura cautelare di arresto nei confronti dell’Onorevole Nicola Cosentino, avanzata dai Pm Giuseppe Narducci ed Alessandro Milita della Procura di Napoli, accolta dal Gip Raffaele Piccirillo ed inoltrata alla giunta della Camera dei Deputati, è l’occasione per una riflessione sul tema della riforma del processo penale. Ciò ancor più alla luce delle odierne indiscrezioni dell’Onorevole Bonaiuti, che ci segnala quest’ultima di imminente presentazione alle Camere.
 
Senza entrare nel merito del provvedimento della magistratura napoletana, è interessante notare il fatto che l’On. Cosentino non sia riuscito a fare una deposizione spontanea in fase istruttoria, malgrado ne avesse fatto richiesta. In buona sostanza egli si trova inquisito e proposto per una misura cautelare senza aver mai potuto dare ai magistrati la sua versione dei fatti, in contrapposizione a quella dei suoi accusatori.
 
E’ il problema del segreto istruttorio , che poi tanto segreto in effetti non è se l’On. Cosentino qualcosa è pur riuscito a sapere, altrimenti non si sarebbe preoccupato di fare conoscere ai magistrati la sua verità.
 
Ed invece i magistrati inquirenti, che, evidentemente, hanno un proprio impianto accusatorio in cui credono ciecamente, questa versione dei fatti non hanno voluto saperla.
 
In effetti il segreto istruttorio impedisce ogni intervento dell’imputato nella fase istruttoria, anche se è evidente che la ricerca della verità non ne tragga vantaggio: è preferito l’atteggiamento inquisitorio, volto ad evitare ogni possibile contaminazione delle prove da parte dell’imputato.
 
Lo stesso accade per l’eventuale parte denunziante: il segreto istruttorio vale per essa nella stessa misura in cui vale per l’imputato.
 
Il risultato è quello che tanti hanno definito come eccessivo potere della magistratura inquirente: è nella sua esclusiva competenza, senza possibilità di contraddittorio alcuno delle parti, la gestione della fase istruttoria è ciò annacqua il nostro sistema penale accusatorio, facendolo ritornare indietro verso un sistema inquisitorio di tipo pre-napoleonico.
 
E’ come se, in parte, il tempo si fosse fermato e fossimo fermi ancora al codice penale di Francesco Giuseppe d’Asburgo. Tutto ciò non porta certo ad una giustizia giusta perché, sovente, l’impostazione data al procedimento penale dalla magistratura inquirente riesce determinate per il suo esito finale; e talora, a causa sua, si hanno colpevoli assolti ed innocenti condannati. Si ricordi che, dopo il caso Tortora, non molto è stato fatto perché un caso simile non avesse a ripetersi.
Purtroppo le pagine dei giornali sono pieni di ipotesi sulla riforma in preparazione da parte del governo, sulla via scelta per evitare al premier condanne per i processi milanesi, sappiamo anche che qualche politico dell’opposizione è ad essa contraria senza conoscerne il contenuto e che lo stesso, forse, vale anche per l’Associazione Nazionale Magistrati, i cui interventi riportati dall’ANSA hanno ormai raggiunto un numero incontrollato.
 
Il timore del cittadino è che si proceda sulla via delle riforme con inutili “pannicelli caldi”, senza affrontare i veri nodi del vergognoso tracollo del nostro sistema giudiziario, evitando di andare a toccare i veri gangli del problema, come quello sopra esposto. Al centro, oggi, abbiamo il principio di conservazione dell’ordine costituito e, invece, vorremmo che al centro vi fosse l’Uomo, il cittadino, come è scritto nella Costituzione Repubblicana, successiva al codice Rocco e non solo in ordine temporale.
 
Quanto sopra indipendentemente dalla fondatezza delle accuse nei riguardi dell’On. Cosentino.

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