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La fame nel mondo

Ieri a Roma è iniziato il vertice della FAO, l’organizzazione Onu che ha la propria sede internazionale in Italia e che si occupa di alimentazione e agricoltura nel mondo. Assenti quasi tutti i leader dei paesi ricchi, cioè le nazioni che dovrebbero dare risorse finanziarie alla Fao per combattere la fame nel mondo. Assenti per imbarazzo, a parte il nostro premier che doveva essere comunque presente in quanto leader del paese ospitante, e anche perché notoriamente immunealla vergogna.

Con la scusa della crisi infatti i paesi ricchi che avevano promesso 44 miliardi di dollari l’anno ne daranno solo 20 in tre anni, l’unico risultato ottenuto dal G8 dell’Aquila e in Italia sbandierato come un enorme successo diplomatico di Berlusconi dalle tv di regime. In realtà si tratta di molto meno di quello che era stato promesso, soltanto il 15% dei 132 miliardi in tre anni che secondo la Fao sarebbero il minimo indispensabile per evitare la morte per fame di un numero enorme di persone. 

Le persone che rischiano di morire per mancanza di cibo, e spesso anche di acqua potabile, sono almeno un miliardo nel mondo. Circa 6 milioni di bambini moriranno di fame quest’anno, ha fatto notare il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon, ma tutte le belle parole del vertice e persino lo sciopero della fame del direttore generale Jacques Diouf per chiedere più fondi probabilmente non serviranno a niente. Non è soltanto colpa della crisi. La fame nel mondo è direttamente collegata alle speculazioni nel mercato alimentare. 

Già ben prima della crisi una speculazione nella borsa americana e in parte anche l’utilizzo di risorse agricole per i biocarburanti invece che per il cibo aveva causato una penuria di cereali in Africa e in Asiaprovocando rivolte e ovviamente moltissime vittime. E’ così che funziona il nostro mondo: alcuni ricchi manager spostano denaro di qua e di là e in Africa migliaia di bambini muoiono perché non hanno nulla da mangiare. Il problema può sembrare complesso e irrisolvibile ma non è affatto così. 

Il mondo è già in grado di produrre abbastanza cibo per sfamare tutti, ma i suoi meccanismi economici creano artificialmente scarsità in alcuni luoghi e abbondanza in altri. Il mondo ricco innanzitutto spreca una quantità indecente di acqua e agricoltura per nutrire il bestiame e permettere alla sua popolazione di mangiare carne anche due volte al giorno. Un’abitudine assurda che i nostri nonni non avrebbero mai preso in considerazione e che non potrebbe mai essere sostenibile per tutto il mondo. 

I paesi poveri invece spesso non hanno sufficienti risorse alimentari perché gran parte del loro territorio è occupato da monocolture, figlie del colonialismo e vendute ai paesi ricchi per un tozzo di pane. I prezzi dei generi alimentari vengono manovrati dalle capitali finanziarie dell’occidente per ragioni puramente speculative. Cosa importa se far scendere il prezzo del cacao significa impoverire migliaia di agricoltori nei paesi in via di sviluppo? Che importa se abbassare i prezzi delle banane in Europa significa che i coltivatori africani e sudamericani non avranno abbastanza denaro per nutrire le loro famiglie? Ovviamente aiuterebbe anche limitare l’esplosione demografica nei paesi in via di sviluppo, favorita in parte dall’ostruzionismo delle religioni mondiali contro gli anticoncezionali, ma la questione non è così semplice. Per chi è così povero da possedere soltanto il proprio corpo un certo numero di figli costituisce una ricchezza in forza lavoro che diventa poi un problema in periodi di scarsità alimentare. E non è una questione da poco anche l’enorme quantità di sussidi che i paesi ricchi danno ai propri agricoltori, rendendo di fatto i paesi poveri incapaci di competere equamente. Per non parlare del vasto capitolo del "commercio diseguale": vendere ai paesi in via di sviluppo armi e prodotti tecnologici che loro non producono per farli pagare carissimi con prodotti agricoli e debiti che finiscono per strangolare intere nazioni. La fame nel mondo insomma non è figlia di un mercato libero, ma è la conseguenza di un mercato regolato in favore dei ricchi e a danno dei poveri. O per evitare eufemismi, la conseguenza di una serie di vergognosi imbrogli dei ricchi a danno dei poveri. 

Quei 44 miliardi all’anno che vengono fatti passare dall’occidente come una generosa donazione sono in realtà un minimo risarcimento per la sistematica economia di rapina praticata dai paesi ricchi contro il resto del mondo. Ma ora anche quelli sembrano troppi, e quindi ne daremo soltanto 20 in tre anni, forse. In fondo se 17.000 bambini poveri devono morire ogni giorno perché noi possiamo avere tavole lussuose e pasticcini fino a crepare d’infarto e obesità, che problema c’è?

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.137) 3 novembre 2013 11:24

    Della fame nel mondo

    Perché mai la fame quando l’uomo dispone della crescita del cibo, e l’animale e la pianta, per attenuarla? Forse perché l’acqua come sua premessa non disposta ugualmente sulla Terra? E quindi non è qui che deve attivarsi per fare sì che cessi? Ma come può disporsi in tal distensivo senso se il suo raggio d’azione limitato alla sua comunità e sia con suoi confini sulla Terra e con sua lingua variegata in egli?

    A chi o cosa serve la sua comunità e lingua variegata se comunque sottostante al medesimo dilemma innato e inteso l’ossigeno e il cibo e l’abitazione per attenuarlo come altrimenti sua abbreviata morte? Ma può porsi detta domanda in un mondo in cui la fame è l’espressione della sua volontà e ovviando qualsiasi argomento che la denota protesa alla sempre e comunque sofferenza della sua circostanza sulla Terra?

    Cosa ostruisce la dissoluzione della fame se presente ogni circostanza per impedire una sua nascita? E la risposta non è quella che si intrattiene sulla Terra come femmina e maschio? Cioè una doppia sua in partenza espressione benché lo dicevamo sottostante all’uguale dilemma e l’ancora sua morte? Come mai si insiste cosiddetto e così sua opposizione ad ogni suo ordinamento vigente sulla Terra e sua comunità?

    Come fa ad intrattenere la comunità nella specie come la femmina nel maschio e la prima che si avvale dei ripari e rimedi del secondo ma estromettendosi e che può facilmente ravvisare con gli occhi suoi in partenza sua doppia espressione e quindi la logica che lo invalida? Come fa ad eludere la mimica facciale della femmina e come sua condanna di ogni suo avverso al suo cospetto e dopo in suo senso attivarsi?

    Come fa a prestare fede alla femmina come la tutrice della prole quando la risultanza la fame nel mondo? Farebbe costruire un ponte da chi mai si è dimostrato in grado di porlo in essere di modo che sia in partenza e arrivo quella stabilità necessaria per infine difendersi dalla morte? Ma non è così che la femmina lo critica di intrattenersi nel mezzo invece di adoperarsi per ridurlo al minimo indispensabile?

    Non è pertanto ogni sua comunità sulla Terra l’invalidare la cronologia degli eventi ed ostentando la lingua variegata la sua premessa benché la sappia un suo effetto? Come fa a risolvere il dilemma che lo impone trasformarsi in sonorità intonata altrimenti? Non è questa assurda formula che causa la fame nel mondo? Potrà mai divenire ogni suo destinatario della detta comunità in sua espressione con la lingua?

    Il divenire, come instancabilmente contestato dal filosofo italiano Emanuele Severino, non è detta assurdità e appunto pretendendo ogni suo esponente la realtà trasformata in parole? Ma come potrà riuscire in detto suo intento se pertanto ha da fare sì che le sue parole abbiano da permanere anche senza di egli e in quanto sennò spente? E cioè arrestate in mancanza di loro supporto e che solo egli può fornire?

    Non deve perciò prima formulare con sue parole una sua meta e il cosiddetto niente e a cui dopo si adegua come anche la sua base e con il suo corpo la sua espressione e via per raggiungerla? Come fa così a raggiungere qualcosa con suo arrivo la sua partenza? Non è forse questa la follia che Emanuele Severino ha ravvisato nell’uomo e maggiormente laddove al cospetto della premessa per attenuare l’innata morte?

    E cioè più vicino all’acqua e pertanto sua espressione che si limita a sospendere il suo simile ma non prima di averlo ravvisato nel dilemma che di suo costituisce sulla Terra come il privilegiato per caso ed essendo nato al cospetto dell’elemento che fa sì che la difesa dalla morte sia più dispendiosa laddove meno data la possibilità per attenuarla e appunto il flusso esistenziale che l’uomo imita principio.

    Può davvero l’uomo proporsi la sua salvezza eludendo la dinamica naturale la premessa della sua espressione? Ma stiamo dicendo che Emanuele Severino sta esprimendo che la scienza non avrà l’ultima parola e in quanto la ravvisa contare le stelle per evitarsi il recupero e parificando la femmina con il maschio ma così la medesima nel suo dispendio di energia per altrettanto costruire l’abitazione da cui latita.

    Mauro Di Nardo

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