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La depressione

Nel libro “La depressione” di Franco Lolli (www.bollatiboringhieri.it, 2009), si può approfondire un punto di vista psicoanalitico sulla depressione (quello ad orientamento junghiano).

Prima di discutere di depressione bisogna chiarire il concetto di intersoggettività per cui quasi ogni soggetto dipende necessariamente da altre persone per mantenere una sana auto-definizione soggettiva e una buona autostima: genitori, insegnanti, educatori, partner, colleghi, ecc.

 

Infatti “Ogni essere umano nasce in un mondo già costituito, già strutturato, già regolato da un funzionamento culturale preciso. Si trova inserito in una rete di significanti, all’interno, cioè, di un apparato simbolico la cui attività si fonda su specifiche leggi, norme, consuetudini, convenzioni ecc., che prescindono da lui e dalla sua particolarità e alle quali, al contrario, egli dovrà in qualche modo conformarsi” (p. 49), a meno che giunto all’età adulta non decida di emigrare in un paese con una cultura più simile a quelle che sono le sue predisposizioni personali.

“Ma c’è di più: l’influenza dell’Altro sul soggetto non si limita, infatti, alle condizioni economiche, culturali o di qualità della vita. Ciò di cui il bambino entra in contatto è l’insieme di aspettative, delle speranze e dei desideri di chi lo ha voluto (o avuto); l’incontro fondamentale per lui sarà, allora, quello che farà con il suo Altro familiare, con il pensiero, per usare un termine caro a Wilfred Bion, di chi lo ha pensato ancor prima che lui venisse al mondo” (p. 49). Per cui il piacere della rinuncia a favore di altri, piano piano si sostituisce ai vari godimenti privati e la nostra anima può morire di fame, perché non si riesce a trovare il coraggio di realizzare i desideri più profondi. 

Questa dipendenza psicologica dalla presenza degli altri nella nostra intimità quotidiana ci porta a ricercare un partner con cui accoppiarci, e nel caso della fine di una relazione, l’Io si deprime di fronte alla sensazione di essere quella “povera cosa” (Freud), “incapace di provvedere a sé e alla propria felicità in maniera autonoma, confrontato, per giunta, alla maestosità dell’altro, suo precursore e riferimento imprescindibile” (p. 52). Così “La vita perde senso; la vita perde il sapore e il gusto che solo il sentirsi degno del desiderio dell’Altro può garantire” (p. 67). E il vero antibiotico in grado di combattere l’infezione del pensiero pessimistico non è l’amore ricevuto, ma la sensazione di poter riprendere ad amare le persone e la vita (p. 87).

Il peggior tipo di depressione si può rappresentare alla perfezione in queste parole di una paziente molto disturbata: “Mi sento come una merda schiacciata” (p. 30). “Il sentirsi una merda chiarisce bene il suo sentirsi ridotta a un oggetto che tutti evitano e che, tutt’al più, calpestano senza volere, sbadati e indifferenti alla sua presenza, aumentando, così, la degradazione del suo essere”.

Invece la tristezza è un sentimento più superficiale e passeggero, e “si produce quando la vita sembra scolorata e grigia, quando la banalità dell’esistenza sembra avere la meglio sulla novità e sulla passionalità, quando la routine prevale sulla curiosità; quando in sostanza, il soggetto non ha la tenacia e il coraggio di prendere sul serio il proprio desiderio di lottare affinché la sua storia si sintonizzi con le sue aspirazioni” (p. 38).

Dopotutto la depressione è in molti casi un evento misterioso dettato da “una spinta inconscia a ripetere e ricercare ciò che causa dispiacere, in una sorta di messa in scena continua del momento dell’insoddisfazione” (la pulsione di morte narrata da Sigmund Freud). Ed è soprattutto una condizione di dolore psichico che, più di ogni altra forma di disagio, è in grado di mostrare il limite strutturale della parola, il fatto, cioè, che la parola non può dire tutto o che, più precisamente, l’esperienza umana non può integralmente essere messa in parola” (p. 7).

“La sensazione di segregazione del depresso inizia proprio da questa intraducibilità linguistica del malessere che lo separa progressivamente dalla comunità. Che si tramuta in un gesto, in un’azione, in una posa. Il trattamento psicoanalitico, al contrario, chiede al depresso di ridurre il ricorso all’atto e di privilegiare l’uso della parola; chiede una riflessione sulla propria storia, il blocco della compulsione all’azione e la disponibilità ad affidarsi al potere straordinario della parola” (p. 8-9).

Quindi non esiste una causa specifica della depressione, anche se la perdita di autostima dovuta all’azione del narcisismo dell’avere, può essere considerata un fattore determinante: “ogni storia è una storia a sé, ogni caso è diverso dall’altro e non è possibile compiere generalizzazioni in un campo dove sono proprio l’unicità e la singolarità del soggetto a trovarsi sotto la lente di ingrandimento dell’operazione analitica” (p. 59).

Inoltre la depressione andrebbe esaminata anche come forma psicofisiologica di inibizione all’azione: se si interviene solo sul sistema dopaminergico si favorisce l’azione, ma se non si contrasta l’altro sistema, quello inibitorio dell’azione, si va incontro a un fallimento. Diverse molecole agiscono sulla depressione: la tirosina facilita l’azione, invece il Cantor è orientato verso “l’inibizione dell’inibizione all’azione” (Claude Grenié e Henri Laborit, Conversazioni con Henri Laborit, www.eleuthera.it, 1997).

Così “quando non si riesce a controllare il proprio ambiente, si piomba in uno stato di inibizione all’azione. La persona è depressa perché non può agire, perché è scomparso l’oggetto che era in relazione con lei… Si trova tutta sola con la sua relazione e il suo ricordo: il ricordo di una relazione desiderata che non ha più”.

Noi siamo anche gli altri: “siamo la traccia che gli altri hanno lasciato nel nostro sistema nervoso, nei rapporti che abbiamo avuto con loro”. L’inibizione all’azione si può anche presentare come carenza di informazione quando accade un fatto mai sperimentato, oppure può derivare da un eccesso di informazioni quando non riusciamo più a classificarle (Alvin Toffler, Lo choc del futuro, 1988). Viceversa può cristallizzarsi intorno ad una fantasia pessimista o catastrofica da eccesso o da carenza di informazioni.

Comunque “la fissazione depressiva consente all’essere umano di non tornare a mettersi in gioco nel rapporto con l’altro conservandosi in un arroccamento solitario ed esclusivo finché l’armadio sarà pieno dei vestiti della persona scomparsa, non ci sarà lo spazio sufficiente per accogliere quelli di un nuovo partner”. Per l’inconscio finché l’amato non sarà dimenticato, non sarà perduto. Invece una normale condizione depressiva esistenziale “si risolve attraverso un impegnativo percorso di elaborazione del senso di limitazione soggettiva, nelle più diverse invenzioni personali di cui sono piene le vite delle persone e di cui le creazioni artistiche rappresentano il prodotto più raffinato” (p. 58).

Come scrisse Heine, “Dai grandi dolori nascono i miei piccoli canti”. E a volte iniziano anche i grandi cambiamenti vitali e i grandi investimenti necessari per pensarsi nel futuro.

Franco Lolli è anche vicepresidente del Centro di Ricerca Psicoanalitica per i Nuovi Sintomi (www.jonasonlus.it), che segue l’evoluzione storica e sociale dei disturbi psicologici, e docente presso l’Istituto di Ricerca di Psicoanalisi Applicata (www.istitutoirpa.it).

 

P. S. Come si fa a creare qualcosa? “La risposta è semplice: bisogna leggere smodatamente… un essere vivente è una memoria che agisce” (Laborit). Magari iniziate da questo libro sulla cooperazione: “Il mutuo appoggio” (www.salernoeditrice.it). Qui Kropotkin afferma: “La concezione più alta che ci dice: "nessuna vendetta per le ingiurie" e che ci consiglia di dare più che non ci si aspetti di ricevere dai nostri simili, è proclamata come il vero principio della morale - principio superiore alla semplice nozione di equivalenza, d’equità e di giustizia, e conducente a maggiore felicità”.

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