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L’acqua e i monopoli dei privati

Dal via libera definitivo della Camera al decreto legge Ronchi, che contiene anche la privatizzazione della gestione dell’acqua potabile, consegue la necessità di una riflessione dalla parte del cittadino; e ciò anche per la confusione ingenerata da taluni impropri interventi sui media.
 
In via preliminare è bene chiarire che il bene acqua è e resterà di proprietà pubblica: la privatizzazione riguarda esclusivamente l’attività di estrazione, trasporto, trattamento di igiene e consegna all’utente. E comunque, dato che tutto questo, alla fine, si trasforma in bollette da pagare, non è male approfondire l’argomento.
 
Sino ad oggi i soggetti che eseguono questa attività economica sono soggetti di diritto pubblico, ivi compresi tanti comuni, e questo li obbliga a farlo nel rispetto delle regole generali sull’attività delle Pubbliche Amministrazioni. Ad esempio, il personale appartiene al settore pubblico, con tutto quello che comporta di differenza rispetto a quello privato; lo stesso vale per la gestione finanziaria, e così via. Tutto ciò costituisce per detti Enti, pesanti legacci rispetto al proprio operato.
 
Passando da Enti Pubblici ad Enti di diritto privato, però, il problema si crea a valle nel caso in cui non sia possibile creare un libero mercato per l’attività economica in questione, ed il perché è evidente.
 
Proviamo ad affrontare questo problema alla luce del pensiero di Albert Hirschman, economista e sociologo tedesco formatosi negli anni della Repubblica di Weimar. Hirschman dice sostanzialmente che, nei rapporti fra il singolo (cittadino o cliente che sia) e le grandi organizzazioni, ivi comprese le Istituzioni, è essenziale per il buon funzionamento delle seconde che operi almeno uno di due meccanismi, uno detto exit ed uno detto voice.
 
Il primo consiste nella possibilità per il singolo, di andarsene e di rivolgersi altrove; in sostanza l’applicazione del principio del libero mercato. Talora questo non sia possibile (es. nel caso di un monopolio, di una Istituzione, etc.) deve essere data la seconda opzione, quella voice, che consiste nel potere interloquire ed essere ascoltato da un soggetto a questo deputato, da un qualcuno che possa dare attuazione, con premi e sanzioni, alla valutazione della grande organizzazione da parte del singolo utente.
 
Orbene, le due ipotesi sono assai diverse fra loro nelle conseguenze; e, comunque, nel caso dell’acqua potabile, non bisogna barare dicendo che il fatto di scegliere il monopolista mediante una pubblica gara costituisca la creazione di un libero mercato. Il libero mercato deve essere dalla parte dell’utente/cittadino rispetto all’erogatore del servizio e deve dargli la possibilità che Hirschman chiama exit: se questo non è, come non sarà mai per l’acqua potabile, è altamente disonesto parlare di libero mercato introdotto.
 
Per converso, noi cittadini siamo in attesa di conoscere non solo il soggetto di diritto privato che subentrerà all’Ente pubblico che rifornisce le nostre case di acqua, ma anche di conoscere chi avrà l’incarico di svolgere in maniera pronta ed efficiente la funzione voice per noi. E dovremo stare molto attenti su questo punto, se non vogliamo finire a pagare bollette stratosferiche. Ne abbiamo già tante da dirgli sul fatto che compriamo tutti l’acqua minerale e non beviamo l’acqua del rubinetto.

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