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Italia, Italiopoli o Partitalia?

Nell’intrigante libro "La cura. Un decalogo per ricominciare da zero", del costituzionalista e saggista Michele Ainis (Chiarelettere, 2009), si viaggia attraverso un pessimismo che si taglia col coltello, per approdare sul progetto più o meno utopistico di una nuova Italia proattiva.

Nell’opera si svelano quasi tutte le metodologie che il potere utilizza per imbrogliare i cittadini e si sogna la nuova Italia dei giovani e delle donne, che nascerà solo quando qualcuno con gli attributi si muoverà o quando il Paese collasserà. Infatti, i vecchi con mente vecchia non mollano l’osso finché muoiono (e finalmente si levano di torno). Il denaro chiama denaro e il potere chiama potere, fino a quando le lancette fatate della storia non decretano la fine dello status quo.

Però, alcune soluzioni utili per facilitare l’opera della storia sono queste: “Dobbiamo affiancare al referendum abrogativo quello propositivo. E ci sono da sperimentare nuove forme di democrazia partecipativa o deliberativa (p. 163); “contro i vecchi blocchi di potere via ogni carica a vita, nelle istituzioni e nella società civile” (p. 144); “la revoca degli eletti (recall) s’adatta ai casi di cattiva amministrazione, negligenza, abuso di potere” (p. 169). Ma l’idea migliore è questa: "contare il voto e contare il non voto, rapportando i seggi in palio ai soli voti espressi" (p. 166). Così facendo, si ridurrebbero il numero dei rappresentati in caso di cattiva condotta oppure si premierebbe anche il lavoro positivo e collettivo dei deputati, dei senatori e dei partiti nella legislatura precedente.

Comunque, il fattore principale resta quello educativo, che va addossato alle nostre mamme che educano dei figli maschi maschilisti, prepotenti e non solo moralmente deficienti. A tutti ricordo questi dati agghiaccianti della primitiva Italia: “Sono dovuti passare 32 anni, 36 governi e 836 ministri prima che fosse concesso un ministero a una donna (Tina Anselmi). Mai a nessuna donna è toccato in sorte d’occupare il ruolo di capo dello Stato, premier, presidente del Senato, della Corte Costituzionale, della Cassazione” (p. 79), e nemmeno di essere a capo dei maggiori partiti. 

E ora, arriviamo ai “dieci” comandamenti di Ainis che sintetizzo così:

  1. Disarmare le lobby;
  2. Rompere l’oligarchia di partiti e sindacati;
  3. Difendere le minoranze (in primis giovani e donne, che poi daranno voce alle altre);
  4. Annullare i privilegi di classe e di tessera politica;
  5. Rifondare l’università attraverso il merito e più ricerca;
  6. Fare concorsi pubblici controllati (anche con sorteggio); 
  7. Annullare o limitare i conflitti di’interesse (imporre l’incarico unico); 
  8. Stimolare e orientare il ricambio delle classi dirigenti (imporre i limiti di età e il limite del doppio mandato);
  9. Impedire il governo agli inetti (magari con un bel test d’intelligenza obbligatorio);
  10. Eliminare il metodo antidemocratico della cooptazione, dove si scelgono i successori e si affidano ruoli, cariche, e candidature solo all’interno dei gruppi di potere già costituiti.
Poi occorre costituire e ripristinare il controllo democratico di tutte le istituzioni attraverso la partecipazione attiva: perciò non chiederti che cosa può dare a te l’Italia, ma pensa a quello che tu puoi offrire al tuo Paese.

Dopotutto, è sufficiente dare qualche dato per capire i livelli da terzo mondo in cui siamo precipitati. Anche se il terzo mondo sta meglio di noi, dato che là perlomeno le cose migliorano, mentre da noi sono destinate a peggiorare di anno in anno. Infatti, da noi succede, in generale, che “l’incapacità di restituire servizi ai cittadini da parte della nostra cittadella burocratica sia fra i peggiori esempi al mondo: 113° posto su 117 paesi, in base al “Global Competitiveness Index 2006-2007"; e 128° posto su 134 paesi quanto a spreco di denaro pubblico, in base allo stesso parametro per il 2008-2009. Questa macchina inceppata non è affatto a costo zero. Costa alle imprese: 40 miliardi di euro l’anno, circa il 3 per cento del Pil” (p. 8).

Ricordo anche che circa “l’80 per cento di assicurazioni e banche ospita nei propri organismi direttivi soggetti con incarichi nei gruppi concorrenti. Un’anomalia tutta italiana” (p. 123), che impedisce la sana concorrenza e l’abbassamento delle tariffe. “Con il risultato che, dopo gli Usa, la società italiana è la più ineguale di tutto l’Occidente, secondo il rapporto "Ocse Society at a Glance 2009". In Italia la diseguaglianza tra le classi sociali è cresciuta del 33 per cento dopo gli anni Ottanta, contro una media generale del 12 per cento” (p. 10). Nella nostra nazione si è costituita una piccola cittadella intorno al Parlamento, composta di alcune migliaia di personaggi maschili, del centro nord, molto invecchiati e scarsamente aggiornati e poco competenti (Carlo Carboni, sociologo dell’economia, "Elite e classi dirigenti in Italia", Laterza, 2007; "La società cinica", 2008).

Purtroppo “in Italia non c’è più posto per chi canta fuori dal coro. Non a caso il servilismo è ormai la malattia etica degli italiani” (p. 32). Inoltre abbiamo trasformato il rito elettorale in mito, in un lavacro che crede di purgare “ogni infezione: dimenticando che ogni elezione è sempre, in realtà, una cooptazione” (p. 138, K. Loewenstein, "Le forme della cooptazione", 1973) e un’abile illusione che trae in inganno quasi tutti i cittadini.

L’Italia va contro le leggi della natura e della società: nel nostro Paese basta essere vecchi e obbedienti, e si diventa ministri o dirigenti. L’Italia è il paradiso dei mediocri e l’inferno della morale. In Italia il dirigente che sbaglia non viene punito, quando si sa che la punizione è la migliore prevenzione: si colpisce qualcuno per educare tutti. E poi gli italiani non riescono a capire che l’uguaglianza è il “diritto di chiunque al riconoscimento sociale delle sue personali qualità e capacità: è l’istanza democratica, veramente universale, del merito: cioè del potenziamento sociale dell’individuo e quindi della personalità” (Galvano della Volpe, 1957, p. 52).

A mio parere, gli italiani devono decidere: se davvero vogliono questi politici e amano il loro Paese, dovrebbero perlomeno portare rispetto alla loro patria e chiedere di far cambiare nome all’Italia per legge. L’Italia ereditata dai padri della patria non è questa. Questa è Italiopoli o Partitalia: dove lo Stato privatizza i beni e le risorse pubbliche e li consegna nelle mani delle grandi famiglie di speculatori, con i cittadini schiavizzati, ricattati e vessati dai vari organismi e dai responsabili dei vari Partiti. L’obbedienza non è più una virtù (Don Milani), ma è diventata un vizio molto lucrativo.

Infatti, gli elettori italiani dovrebbero svegliarsi e ricordarsi che attraverso la legge truffaldina dei rimborsi elettorali, ogni volta che votano i vari Berlusconi, Bossi e Bersani, non fanno altro che versare i loro soldi in contanti nelle loro tasche (se ricordo bene si tratta di 5 euro a voto). Quindi quella ridicola sottospecie terricola che si chiama “cittadino italiano” dovrebbe smettere di votare sempre le stesse persone e dovrebbe iniziare ad affamare le brutte bestie. Il nostro regolamento elettorale consente di rifiutare il voto nel seggio e io l’ho già fatto, perché l’attuale legge elettorale è manifestamente anticostituzionale e non consente la volontà di scelta dei parlamentari da parte dei cittadini. Purtroppo, quello che è successo nel Parlamento troppo romano e nell’Italia abusata degli ultimi quindici anni dimostra lo stato di coma vegetativo della democrazia, vampirizzata dall’avidità dei politici e dalla decrepita burocrazia dei partiti .

P. S. Saviano, noi e l’Italia ti vogliamo. Se crei un movimento, noi liberi cittadini ti votiamo. Altrimenti “la democrazia finirà non già con uno schianto, ma con un piagnisteo” (Beer, 1966).

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