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Il teatro dell’omertà

Le basi di un teatro mafioso, ovvero l’arte del silenzio parlato.

Io non sono un esperto di mafia, mi definirei solo un curioso di mafia. La mia curiosità non nasce dai mille film visti, che in parte la glorificano o la sfruttano, o dall’aver letto altrettanti libri che trattano del fenomeno. In realtà, parliamo esclusivamente di criminalità organizzata e null’altro ma, poi, rileggendone attentamente la storia, ci si accorge che non è cosi semplice, se è pur vero che in differenti forme questo fenomeno lo si riscontra ovunque: cambiano i nomi e i personaggi, ma la base rimane spesso della stessa matrice.

Altri meglio di me l’hanno cercata e descritta. La cosa più curiosa è comprendere il linguaggio e le sfumature, un grande drammaturgo svedese, August Strindberg, del quale curo il sito ufficiale qui in Svezia, diceva che la forza di un dramma sta nelle pause create nel dialogo: spesso il migliore effetto nel dramma lo si raggiunge in un improvviso silenzio, che non significa affatto mancanza di parole o reazioni, che turba e allo stesso tempo convince, ma sopratutto minaccia ben altro, spesso sottinteso e reale. Non serve sempre dire cose scontate, chi già sa cosa non viene detto ha già capito da tempo il messaggio. La mafia parla, o meglio, tace così.

Molti si chiedono cosa stia accadendo a Torino o a Firenze, se certi processi abbiano in realtà uno scopo: me lo domando anche io, pur vivendo da quattro decenni fuori dall’Italia. Nasce poi un altro dubbio, e cioè: chi li vuole veramente? Per chi vive lontano è più che scontato che un imprenditore milanese, senza un capitale, non possa diventare uno tra i più ricchi e potenti del Paese senza un aiuto esterno. Pur rispettando ogni fede religiosa, ma libero di non averne una mia, credo poco ai miracoli e, ancor meno, credo che la manna descritta nella Bibbia per alcuni si trasformi in oro che gli piove addosso da un Dio misericordioso né che in lui abbia prescelto un suo eletto, a parer mio troppo volgare e superficiale per poter essere un Cristo sulla terra o un Muhammad, né tanto meno un Mosè. Perciò, se tralasciamo ogni visione biblica, resta ben poco da ricercare in questa “fortuna sulla terra“ cascatagli addosso.
 
Lo so, è doloroso pensarlo, ma il benefattore non può essere neppure un Mefisto, anche lui poco credibile se non nella fantasia di un Goethe. Quindi, è facile dedurre che quel capitale lo hanno investito dal Sud. La cosa è così nota, che non fa più notizia, ma anche se notizia non è resta comunque il fatto. Ma un tale fatto è impossibile da dimostrare e da provare oggi. Sarebbe stato possibile provarlo anni fa, se avessimo avuto il potere del fisco americano.
 
Il Paese più capitalista del mondo, almeno per ora, accetta ogni forma di business, ma non nella forma della tipica furbizia italiana, basata sulla truffa e la criminalità organizzata, per poi accettare ben altro e altrettanto indegno. Allora che è successo o sta succedendo in certi processi?
 
Il dramma inizia in B-minore e si sviluppa lentamente: l’imprenditore dice “siamo alle comiche finali”, ma in realtà non lo pensa. Quel dramma non è suo: non è lui a dirigerlo o produrlo, e allora cerca freneticamente i mandanti o, meglio, gli autori. Crede che siano i capi comici dei teatrini di Palazzo di Giustizia o dei tribunali, teatri ben noti per avere spesso lo stesso repertorio decenni dopo decenni. Ma l’imprenditore meneghino si sbaglia, questa volta il regista sta nascosto tra le quinte e manda il suo Arlecchino a fare il suo bel ruolo, gli ha dato la libertà di improvvisare, pur impartendogli alcune parole chiave: "Te l’ho detto, ma non detto. Lo sai, mai io non lo so, io. Non ho visto nulla né concosco alcuno".

Il dramma, quindi, inizia con un prologo un po’ farsesco. Tutto poi sarà negato nel primo atto, quindi a che giova il ruolo del prologo? Il dramma vero non è per nulla iniziato, diciamo che in parte è un dramma che può finire in molti modi, non ci sarà bisogno neppure di un terzo atto.

Ma allora dove sta la genialità degli autori? Potrebbe persino un Pirandello riproporre questo in una nuova versione di 6 o più personaggi in cerca di autore? Impossibile. Ci sono due personaggi che non accettano improvvisazione, e due altri personaggi chiave che hanno già capito il finale: nulla è stato detto, nulla sarà detto. Il vero trionfo del silenzio parlato.

Ma una soluzione l’imprenditore sa già quale sarà, e anche il suo Fidelio lo ha capito: qualche cosa si dovrà pure concedere e stare ai patti conseguiti da anni.
Arlecchino ha avuto la sua chance, ha fatto la sua parte, ha detto già tutto, se pur burlescamente e in modo che può sembrare assurdo. Ora sta ai due personaggi centrali fare il finale. Come sarà? Cercatevelo voi. Questo è teatro moderno ma, in parte, anche antico.

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