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Il paradosso principale della dodi&c

Cos’è la dodi&c? La dodi&c è una fallimentare scuola di magia nera delle parole o della “religion of darkness”, comune tanto ai neomarxisti quanto ai loro avversari cosiddetti anticomunisti. Tutti si dichiarano liberali ma col solo risultato “di ammucchiare insieme a casaccio gli inconciliabili come, ad esempio, le politiche keynesiane con le teorie economiche di Milton Friedman” (“Liber@mente, op. cit.).

Ecco perché ho inventato l’acrostico evocativo del regno Ocolingo del famoso romanzo futurista “1984” di Orwell: la compagnia dove ugni deficiente impera, dodi&c, appunto (“nel 1948, quando Orwell scriveva questa opera profetica aveva già chiara l’odierna antilogica della dodi&c: il bipensiero economico degli anni ’70 avrebbe preso piede come modello assoluto di pensiero “mentecattocomunista”. Questo ipertrofico mondo di dementi ora non ha più alcuna giustificazione di fronte al crack mondiale che ha provocato. L’epoca scientificamente menzognera che generò imbecillità come il “pensiero debole”, le “convergenze parallele”, o come l’“economia del deficit” o del “debito pubblico”, ecc., sta per finire. Ed il 2012 di cui si parla tanto sarà probabilmente solo l’inizio consapevole di tale fine”; cfr. http://www.finanzainchiaro.it/dblog...).
 
La moralità di un politico è un gradino sotto quella di un pedofilo, diceva Woody Allen. Credo che ciò valga soprattutto per la dodi&c; dunque non solo per i politici ma anche per ogni odierno portatore di pensiero debole, o materialismo, o marxismo, cioè di antilogica o di fondamenti poggianti su paradossi.
 
Il paradosso principale del marxismo (o del materialismo) - così come è affermato dal neocomunista Preve - sta nel fatto filologicamente e storicamente incontrovertibile per cui il “codice filosofico” della “filosofia” della prassi, comunque declinata, non è per nulla materialistico, neppure per generosa estensione analogica, ma è al 100 per cento idealistico, e la sua formazione quasi perfetta risale all’opera di Fichte del 1974 sulla Dottrina della Scienza.
 
È interessante che Kant - che in una solenne dichiarazione pubblica del 1799 prese ufficialmente le distanze da Fichte affermando che il proprio sistema era radicalmente incompatibile con quello di Fiche - abbia definito per primo “metafisico” il sistema fichtiano (anzi, metafisico in senso “scolastico”).
 
Infatti anche il suo sistema si fondava su di una metafisica della morale universale: negando proprio che la prassi potesse modificare ontologicamente la cosa in sé (Ding an Sich), e che poi Lenin, ritenuto un principe della prassi rivoluzionaria, abbia lodato in quanto “materialista conseguente” il mantenimento kantiano della Cosa in Sé stessa ribattezzata l’“elemento materialistico della filosofia di Kant” (e si veda in proposito la sua opera “Materialismo ed Empiriocriticismo”) (cfr. Costanzo Preve, “Una approssimazione al pensiero di Karl Marx. Tra materialismo e idealismo”, Saonara, 2007; C. Preve, è redattore del quadrimestrale Comunismo e Comunità e sedicente filosofo di riferimento del comunismo comunitario; come si può vedere già dal sottotitolo “Tra materialismo e idealismo”, si assiste qui al tentativo manipolatorio di contenuti concettuali antitetici in nome di una “approssimazione” per cui tenta di dare dignificazione intellettuale all’ambiguità del collocarsi “tra materialismo e idealismo”, magia di parole della religion of darkess, contraria all’antico principio di non contraddizione della filosofia antica, e contraria altresì all’aurea regola umana, o cristiana, di Mt. 5,37: "il vostro parlare sia Sì sì, no no ciò che è in più viene dal maligno"). 
 
A questo paradosso della filosofia marxiana della prassi, fatta risalire soprattutto alle note “Tesi su Feuerbach” (cfr. A. Bortolotti, “Marx e il materialismo”, Palermo 1976), si oppongono le tesi della separazione netta fra Fichte e Marx, perché Fichte avrebbe sostenuto unicamente una tesi generica ed astratta di trasformazione (il famoso io che trasforma il non-io), mentre Marx ci avrebbe aggiunto la lotta di classe, aggiunta che in quanto tale avrebbe appunto consentito il passaggio filosofico dall’idealismo (fichtiano) al materialismo (marxiano) (cfr. C. Preve, “Una approssimazione...", op. cit). 
 
Se è così, però, la lotta di classe diventa il solo elemento che consenta di parlare di prassi materialistica ed allora la “materia” diventa la rispettabile metafora della lotta di classe del proletariato contro la borghesia, e non si capisce allora perché Feuerbach resti “materialista” mentre Fichte resti “idealista”.
 
In sostanza, così come in un certo aristotelismo l’Intelletto Attivo permette il passaggio dalla potenza all’atto, in un certo marxismo solo la Classe (o meglio il Partito, interprete unico degli interessi storici della classe stessa) permette il passaggio della prassi dall’idealismo al materialismo.
 
Ma qui il soggettivismo estremo di un partito inteso come unico “decisore” della strategia e della tattica dell’emancipazione umana può fregiarsi del titolo di “materialista” anche in presenza del massimo di delirio politico settario e “idealista”! (ibid). 
 
È allora interessante notare che i teorici che hanno creduto bene di individuare nelle “Tesi su Feuerbach” il cuore del pensiero filosofico di Marx possono essere certamente trovati nell’estrema sinistra rivoluzionaria non pentita (cfr. G. Labica, “Karl Marx. Les Thèses sur Feuerbach”, PUF, Paris 1987), ma possono essere trovati anche fra non-marxisti (Giovanni Gentile) ed anti-marxistì dichiarati (Augusto Del Noce), e si vedano in proposito soprattutto G. Gentile, “La filosofia di Marx”, Sansoni, Firenze 1962 (ma 1899), con l’integrazione storica di AA.VV, “Le origini del marxismo teorico in Italia” (a cura di C. Vigna), Città Nuova, Roma 1977, e soprattutto A. Del Noce, “Lezioni sul Marxismo”, Giuffrè, Milano 1972 (ibid.).
 
Alla luce di quanto sopra, e per parlar chiaro, come fa il neomaterialista (o neomarxista) a negare che la “filosofia” di Marx sia idealista al 100 per cento? Non può negarlo, perché se lo negasse negherebbe conseguentemente la presenza di idealismo nell’opera stessa di Marx. D’altra parte, non negandolo, come fa a non porsi conseguentemente in contrasto con una consolidata tradizione centenaria e/o contro la stessa autocertificazione soggettiva dello stesso Marx? Non è forse paradossale allora reputare se stessi idealisti in quanto materialisti o materialisti in quanto idealisti? O in quanto neomarxisti o appartenenti allo stesso partito caratterizzato allo stesso tempo da materialismo e da idealismo, vale a dire da delirio politico? 
 
Nel suo pensiero debole Gianni Vattimo è arrivato ad una deficienza di pensiero inaudita affermando che, anche se il comunismo reale è morto, “resta in ogni caso vivissima l’aspirazione comunista a una società libera dai rapporti di dominio e di sfruttamento e, dunque, dalle strutture proprietarie” (G. Vattimo in D. Fusaro, “Marx e l’atomismo greco”, Saonara, 2007).
Ma che significa qui la particella congiuntiva “dunque”?
Significa forse che la conseguenza al liberarsi dal dominio e dallo sfruttamento comporti il fatto che il dominato e lo sfruttato si liberi dalle “strutture proprietarie” solo in astratto, dato che in concreto esse consistono nei meri corpi fisici dei dominati e negli sfruttati, in quanto meri proletari o schiavi?
Costoro, per liberarsi della schiavitù dovrebbero dunque suicidarsi, liberandosi così dell’unica loro “struttura proprietaria” in nome della loro vivissima aspirazione comunista?
 
Qui vi è deficienza di pensiero, alienazione. Perché la logica di lotta di classe assunta qui come paradosso è simile a quella del delirio politico sopra accennato, per il quale si giustifica la “materia” in quanto metafora - e dunque in quanto “idea” - della lotta di classe.
Per cui si reputa poi giusto difendere qualcosa sopprimendola. Dove sta il senso?
 
Mi sembra più sensato difendere la proprietà, così come è naturale accendere la stufa per difenderci dal freddo invernale. Certo, se io mi suicido perché ho freddo, di sicuro mi passa anche il freddo. Però questa soluzione la adotti il portatore di pensiero debole che propone questa soluzione finale come soluzione sociale.

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