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"I Miserabili" di Marco Paolini

Lunedì 9 novembre è andato in onda su La7, senza interruzioni pubblicitarie, l’ultimo spettacolo del teatrante bellunese.

Paolini per la prima volta porta sullo schermo il racconto della crisi del mondo capitalistico dal suo punto di vista. 

Palcoscenico dell’evento il porto di Taranto, scenografato da container che rappresentano il simbolo del capitalismo globalizzato, incentrato sulla movimentazione delle merci.
 
Paolini è accompagnato dal gruppo musicale I Mercati di Liquori, i quali esordiscono cantando parole scritte nel 1867 da Karl Marx"Il capitalismo distingue l’uomo dall’animale, il capitalismo non è la lotta tra il bene e il male".
 
Secondo Paolini la crisi attuale del sistema finanziario, che si è tradotta nel corso dei mesi in vera e propria crisi e recessione economica con pesanti conseguenze sull’occupazione, non è la prima, e certamente non sarà l’ultima, che il mondo si trova ad affrontare.
 
Lo spettacolo è fatto per aiutare le persone a porsi delle domande, e per cercare di comprendere i motivi che hanno spinto la politica a svincolarsi dall’impegno sociale per concentrarsi su mere logiche di profitto.
 
"Oggi siamo poveri o miserabili?".
 
La distinzione è per l’autore netta: i poveri sono coloro che vivono in una situazione di disagio a causa delle loro condizioni economiche, e in base ad esse organizzano la propria esistenza. I miserabili sono invece coloro che non hanno assolutamente niente e sono costretti ad emigrare, a trasferirsi in paesi industrializzati.
 
E’ quello che già è avvenuto nel corso della seconda rivoluzione industriale ottocentesca, in cui un numero sempre maggiore di nuclei familiari si è trasferito dalle campagne nei grandi centri urbani delle città, nelle quali era in crescita la richiesta di manodopera non specializzata nelle fabbriche. Ed è quello che accade oggi con le carrette del mare che sbarcano sulle coste europee migliaia di disperati che nessuno vuole.
 
Lo spettacolo va avanti con un lento susseguirsi di riflessioni, accompagnate da momenti di serietà alternati a ritmi espressivi che creano una crescente ilarità in chi ascolta, ma senza mai perdere la fiducia nella speranza.
 
Speranza che dev’essere accompagnata da impegno sociale, e che non deve limitarsi nell’attesa di momenti migliori.
 
Per capire le ragioni dell’imbarbarimento sociale del mondo attuale bisogna guardare al passato politico degli ultimi trent’anni, a cominciare da quella nuova ideologia politica nata con Margaret Thatcher che ha svuotato di significato la parola "società", che ha posto al di sopra di tutto l’individualismo, che ben presto si è trasformato in egoismo.
 
La frase più emblematica di quella politica diretta a disconoscere il valore stesso del concetto di comunità o collettività è, secondo Paolini - "Non possiamo impedire all’uomo di diventare ricco".
 
Una politica, quella degli anni ottanta, seguita dal primo ministro inglese e dal presidente degli Stati Uniti Ronald Regan, causa della mercificazione della società tesa alla massimizzazione dei profitti e al consumismo spinto, a scapito delle classi meno abbienti sistematicamente sfruttate e alienate dalla mano invisibile del dio mercato.
 
Oggi quello stesso concetto politico della società è sopravvissuto a Regan e alla Thatcher, ed è causa dei tanti errori che ancora permea il nostro sistema sociale avendo trovato degli ottimi allievi in chi oggi in Italia ci governa.
 
Che senso ha dire che la società è formata da uomini, da donne e da famiglie, quando poi lo stesso concetto di collettività viene violentato e abusato in nome della produzione industriale e della ricchezza individuale?
 
Per Paolini bisogna ripartire dall’uomo come parte di un qualcosa che và oltre l’individuo, bisogna tornare a riflettere al di là del realismo a cui ci induce la televisione.
 
Alla fine lo spettacolo coinvolge il pubblico a cui l’autore chiede che cosa possiamo fare insieme, e che cosa il pubblico si aspetta che lui faccia.
 
A nostro avviso insieme possiamo fare molto, iniziando con l’informazione, la voglia di conoscere che sta alla base delle decisioni da assumere, essere infine consapevoli che il mondo attuale, che non ci piace, si può cambiare.
 
A Paolini chiediamo invece di fare quello che ha sempre fatto, chiediamo di fare cultura, riprendendo le parole di Giorgio Gaber "Libertà è Partecipazione".

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