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Google vs Cina: Atto terzo. L’autogol di Xinhua

Terzo giorno dal discusso annuncio di Google di abbandonare la Cina. Seguiamo anche oggi questa vicenda.

Questa notizia diventa sempre più interessante con il passare delle ore. Contemporaneamente la mossa di Google riesce a far parlare di spionaggio, hitech, diritti umani, economia, politica, pregiudizi. In rete si legge davvero di tutto. Dai commenti più illuminanti, sino a sequenze di rimproperi e mugugni, provenienti per giunta da tutte le parti del mondo. Questo caso riflette in sé, come poche altre notizie negli ultimi anni, una serie di turbamenti e contraddizioni che si erano accumulate nel corso del tempo. Inevitabile così lo scontro tra ideologie.
 
In mattinata appare sulla Xinhua la terza notizia su Google. E’ molto importante ciò che riporta l’agenzia di stampa cinese, poiché al suo interno sono generalmente contenute le risposte più o meno ufficiali del governo cinese. Il titolo è già eloquente: "China stands firm on Internet security amid Google drama", ovvero "La Cina rimane ferma sulla sicurezza di Internet e la vicenda di Google". La risposta appare debole, contradditoria e in ultima analisi deludente. Insomma, niente di nuovo da Pechino.
 
La Cina, ieri ha dichiarato, attraverso la portavoce del Ministero degli Esteri Jiang Yu, che è a favore di un Internet libera, ma chi vuole operare all’interno del suo mercato, deve necessariamente adeguarsi alle sue regolamentazioni. Attraverso le parole di Wang Chen, dirigente del China’s State Council Information Office veniamo a sapere che la Cina da sempre si oppone con forza agli attacchi degli hacker, anche perché la Cina stessa è oggetto di incursioni informatiche. La sicurezza di Internet pertanto non è un problema solo cinese, ma mondiale. Ecco che i giornalisti Xinhua introducono direttamente il discorso di Google: "E’ ovvio che qualunque sito possa essere oggetto di attacchi, sia in Cina che in altri paesi. Gli attacchi non possono essere il vero motivo della ritirata di Google", ha detto Sun Zhe, direttore del Centro Relazioni Sino-Americane presso la Tsinghua University. "Questo genere di crimini sono un grattacapo per molti importanti siti stranieri e cinesi. Google dovrebbe portare qualche prova alle autorità cinesi, affinché sia possibile da ambo i lati lavorare sul problema".
 
Google è stato in passato criticato per i troppi link a siti pornografici in violazione della legge cinese. In una serie di campagne contro la proliferazione del porno online, Google ha agito velocemente, ripulendo i risultati dal suo motore di ricerca, sotto richiesta delle leggi cinesi. Gli esperti hanno detto che la regolazione di Internet è pratica comune in molti paesi. Liu Deliang, a capo di Asia-Pacific Institute for Cyber-law Studies, ha detto che sia Cina che USA hanno leggi e regole per Internet, ma in maniere differenti. "Gli USA vogliono che solo i bambini stiano lontani dal porno, ma il governo cinese invece vuole che tutti non ne possano avere accesso". Google ha seguito le regole del governo nel suo paese. A marzo 2008, Google ha rimosso le immagini delle basi militari dal suo servizio di mappe seguendo gli ordini di Washington. A metà articolo arrivano le prime ipotesi cospirazionistiche. Mentre molti utenti sono rimasti spiazzati dalle dichiarazioni di Drummond, altri hanno avanzato sospetti che la mossa sia stata effettuata per motivi meramente economici e quote di mercato. Viene citata la blogger Sarah Lacy che in un post su techcrunch.com afferma che, gli affari di Google in Cina non sono mai andati, citando l’ex capo delle operazioni del motore di ricerca in Cina, Kai-fu Lee; pertanto Google non avrebbe mai potuto battere la concorrenza di Baidu e guadagnare così quote di mercato. "Google ha deciso che non vale la pena di fare affari in Cina, e ha così ribaltato una situazione negativa, in una campagna di marketing nel resto del mondo". Ecco che quindi il secondo posto di Google in Cina, con un giro d’affari di centinaia di milioni di dollari ottenuti con soli 700 dipendenti, diventa un modello perdente! Google quindi se ne sarebbe andata via dalla Cina per invidia nei confronti del rivale Baidu. I giornalisti, citando Sun Zhe, chiosano sicuri: "Certamente Google se ne è andato per motivi economici".

Sarah Lacy per la verità dice molte cose. La sua analisi può essere veritiera, anche se va sottolineato come si può definire perdente un modello che porta ad essere al secondo posto nella rete cinese. Appare chiaro come il governo cinese abbia scandagliato con il lumicino la rete internazionale alla ricerca disperata di un post che in qualche modo li scagionasse. In realtà come spesso accade, Xinhua ha commesso un autogol. Sarah Lacy, che insiste sulle sue tesi economiche, sostenendo che ben presto Baidu scavalcherà Yahoo in termini di ricerche globali, collocandosi così al secondo posto, dice una cosa sensata: Google con la sua mossa ad effetto ha lanciato un chiaro messaggio al mondo occidentale: "Attenzione, Baidu è il megafono del governo cinese, noi no". Baidu quindi secondo Sarah Lacy è un pericolo per le democrazie. Questo ovviamente non è stato ripreso dalla Xinhua.

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