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Fine del golpe in Honduras: chi ha vinto?

Sul sito internet di El Pais la notizia campeggia in apertura, in bella esposizione nella homepage. Lo stesso accade sulla BBC. Non sono da meno i tanti quotidiani ed organi di informazione on-line di mezzo mondo, che il 30 ottobre, nel giro di pochissimi istanti, collocano nelle primissime posizioni la notizia del giorno: la crisi politica in Honduras sembra volgere al termine. La firma di un accordo tra il Presidente golpista ad interim Roberto Micheletti e il deposto Presidente Manuel Zelaya mette di fatto la parola fine al colpo di stato che ha insanguinato per mesi il piccolo stato del centroamerica.

Nessun accenno di nessun tipo sui quotidiani on-line italiani. Unica eccezione "Il Manifesto". Eppure circa quattro mesi fa la notizia del golpe riusciva ad ottenere una vastissima risonanza ed una intensissima eco anche nel nostro paese, tra l’indignazione dei ferventi democratici, i sospetti internazionalisti degli anti-americani e l’esaltazione delle origine bergamasche del nuovo Pinochet d’America, Roberto Micheletti, nei servizi filo-golpistici di Studio Aperto.

L’interminabile sequenza di arresti, di deportazioni, di cittadini assassinati da colpi di mitra nelle pacifiche manifestazioni di piazza, sembra aver generato noia nei direttori di TG e di quotidiani italiani, al punto da eliminare da diverso tempo ogni riferimento alla crisi in Honduras anche dai micro-trafiletti.

Un piccolo sussulto verso la fine di settembre, quando il governo del "rappresentante della bergamo alta" sospendeva i diritti costituzionali (libertà d’espressione, libertà d’associazione, libertà personale) per 45 giorni per l’intero territorio nazionale. Poi un altro lunghissimo sonno, dal quale ancora fatichiamo a risvegliarci.

Il 28 giugno del 2009 l’esercito onduregno, al comando del generale Romeo Vasquez, dava vita al colpo di stato che rovesciava il governo democratico in carica e deportava di fatto il suo leader, il Presidente Manuel Zelaya, in Costa Rica. Decine gli arresti, così come i morti. Molto più numerosi i feriti. Nel giro di poche ore tutti i mezzi di informazione vennero occupati, istituiti posti di blocco in tutto il paese, migliaia e migliaia di persone si riversarono nelle strade per protestare contro l’inaspettato e vile attacco alle istituzioni democratiche del paese.
Il referendum che consultava gli elettori sulla possibilità di dar vita ad un’Assemblea Costituente, che si sarebbe dovuto tenere quello stesso giorno, venne di fatto annullato.

La Corte Costituzionale dell’Honduras, il Parlamento e l’Esercito festeggiarono l’ennesimo golpe americano. Nel giro di pochissime ore il Parlamento si trovò a leggere, per mano del deputato Roberto Micheletti, una finta lettera di dimissioni di Zelaya, che vennero approvate all’unanimità un secondo prima di nominare il regista del golpe, Roberto Micheletti, nuovo Presidente dell’Honduras.

128 giorni, ad oggi, la durata del regime Micheletti, nel cupo silenzio di gran parte della stampa italiana. La piccola beffarda svolta 4 giorni fa, il 30 ottobre, giorno in cui l’Honduras ha visto la duplice firma di un accordo politico stretto tra il legittimo Presidente Zelaya, ancora in reclusione forzata tra le mura dell’ambasciata brasiliana a Tegucigalpa, ed il golpista Micheletti.


Il punto-chiave dell’accordo (conclusione di una trattativa che ha visto impegnati seppure a fasi alterne gli Stati Uniti d’America) sembrerebbe dichiarare la sconfitta definitiva dei golpisti: rientro ufficiale in patria di Manuel Zelaya e reintegro nel suo ruolo di Presidente della Repubblica.

Ed è qui che emergono gli altri punti che rovesciano la sensazione.

Cavillo numero 1: istituzione di un governo di unità nazionale con l’appoggio del Parlamento, quello stesso Parlamento che pochi mesi fa deponeva il legittimo Presidente dell’Honduras.

Cavillo numero 2: elezioni generali (Presidente e Parlamento) fissate per il 29 novembre. Se il Parlamento dovesse ratificare l’accordo, Zelaya resterebbe in carica al massimo per 2/3 settimane.

Cavillo numero 3: nessuna ricandidatura di Zelaya.

Cavillo numero 4: istituzione di una "Commissione della Verità" che indaghi sui crimini post-golpe dei militari ma anche quelli di Zelaya, colpevole secondo la Corte Costituzionale di tentato rovesciamento delle istituzioni democratiche.

La conferma delle elezioni previste per il 29 novembre sembra restituire, in compenso, quella sovranità al popolo dell’Honduras di cui violentemente è stato privato da mesi. Il popolo dell’Honduras potrà finalmente tornare a dire la sua sulle ragioni e i torti degli ultimi tempi, in una gara politica che vedrà, come tradizione vuole, principali contendenti il Partido Liberal, retto dal golpista Micheletti, ed il Partido Nacional, destra conservatrice filo-golpista.

La parola passa ai cittadini onduregni, carichi della responsabilità della scelta tra questa tradizione elettoralmente predominante che inneggia al golpe (96% i voti raccolti dai due partiti nelle ultime elezioni del 2005) ed una inedita terza via democratica che, finora, fatica a mostrarsi.

Il sottosegretario americano Thomas Shannon, all’atto della firma dell’accordo, ha equiparato Micheletti a Zelaya, definendolo "eroe della democrazia". Una definizione a cui nemmeno Studio Aperto aveva ancora pensato.

Commenti all'articolo

  • Di Valeria (---.---.---.114) 4 novembre 2009 12:22

    Ottimo articolo.
    Posso segnalarti anche questo?
    http://www.altrenotizie.org/esteri/2799-honduras-la-pax-americana.html

  • Di Fabrizio E. (---.---.---.241) 5 novembre 2009 00:56

    Sbagliato comparare Micheletti con Pinochet, un grande errore commesso fin dall’inizio della crisi non solo dai giornalisti italiani ma anche americani ed europei in generale. Sbagliato, in mia opinione, descrivere questi ultimi mesi di politica instabile violenti. La notizia di così numerosi morti durante le manifestazioni sono in parte infondate e mai state accertate. Io ero lì e posso confermare che la violenza in Honduras è stata sempre tenuta sotto controllo. Acceni alla violenza sono arrivati dai zelayisti.
    Da ricordare che la maggioranza della popolazione non vuole Zelaya al potere. D’altro canto, il ritorno al potere di Zelaya, come ben detto nell’articolo non potrà essere molto incisivo in quanto le elezioni sono alle porte e il tempo per fare qualcosa da parte del presidente deportato scarseggia. Ciò è quello che Micheletti aspettava. Far felice gli obsoleti americani lasciando però uno spazio stretto a Zelaya per eventuali brutte sorprese. Abbiamo potuto osservare una grande strategia politica da parte del regime golpista, che ha saputo raggiungere i propri scopi mantenendo la calma in circostanze in cui altri paesi avrebbero già fatto nascere una guerra civile se non internazionale. Complimenti a questo piccolo grande paese.
    Naturalmente ognuno ha le proprie opinioni ed è giusto che sia così.

  • Di (---.---.---.199) 5 novembre 2009 09:26

    La penso come Fabrizio E., avendo anche avuto notizie dirette dall’Honduras. Per me era sbagliato anche definire "golpisti" quelli che hanno evitato che si creasse in H. un altro Chavez. Speriamo che le elezioni si svolgano regolarmente e il paese ritrovi la tranquillità.

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