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Fiat: la crisi come opportunità in senso ampio

Dell’attuale produzione di automobili della Fiat, solamente un terzo circa viene prodotto in stabilimenti localizzati in Italia.

Se a questo aggiungiamo il matrimonio con Chrysler, ancor prima dell’ipotesi di un ulteriore secondo accordo con General Motors per Opel, appare difficile continuare a pensare alla Casa automobilistica torinese come qualcosa di strettamente italiano.

Albert J. Dunlap, famoso dépeceur di imprese, cioè uno che le imprese le fa a pezzi per guadagnarci sopra nel rivenderle, ha asserito «L’impresa appartiene alle persone che investono in essa, non ai dipendenti, ai fornitori e neanche al luogo il cui è situata».
 
Dunlap, naturalmente, non pensava all’«appartenenza» con l’accezione di «proprietà», bensì soprattutto con l’accezione di «processo di gestione», e cioè voleva significare che, a suo avviso, i dipendenti, i fornitori e gli esponenti di una località non hanno e non devono avere voce alcuna nelle decisioni che gli investitori possono prendere.
 
A questi ultimi spetta il vero potere di decidere, così come di respingere, di non tenere in alcun conto e di non accettare qualsiasi commento o richiesta gli altri possano avanzare sul modo in cui gestiscono l’impresa.
 
Con questo messaggio Dunlap non faceva una dichiarazione di intenti, ma, a suo parere, una incontrovertibile constatazione dei fatti.
 
Se il management FIAT, nel suo considerare l’attuale crisi economico-finanziaria come una opportunità si fosse fermata a Dunlap, la avrebbe interpretata in senso ristretto e limitato e, con ogni probabilità, non sarebbe riuscito a raccogliere alcun risultato.
 
Lo vediamo, invece, fare carta straccia di questo avviso e dialogare con governi e sindacati, americani e tedeschi e, siamo sicuri che accadrà, italiani, per far convergere una pluralità di volontà sull’unico obiettivo pensato e proposto.
Questo significa che non vi è solamente un modo ristretto per vedere la crisi come una opportunità, ve ne è anche uno ampio, che pone al centro del mondo del lavoro l’uomo e non viceversa.

Se l’ultimo quarto del secolo passato passerà alla storia come la Grande Guerra per l’avulsione dell’economia dalla localizzazione in nome della globalizzazione, questa Grande Guerra non è ancora finita con la sconfitta dell’uomo, sottomesso al guadagno.
 
Ed i centri decisionali, insieme alle motivazioni che determinano le decisioni, gli uni e le altre non sono schizofrenicamente avulsi da legami territoriali e da riferimenti all’uomo : l’economia continueranno a farla, come è sinora accaduto, i prezzi del marcato ortofrutticolo cittadino.
 
In questo Fiat è prima davanti a tutti, nell’averlo per prima capito.

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