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Fecondazione anche per chi è fertile

La legge 40 sulla procreazione assistita approvata nel 2004 tra mille polemiche e che, da allora, ha fatto aumentare il numero di coppie che emigrano per cercare di avere un figlio, ha subìto una nuova interpretazione grazie a un giudice del tribunale di Salerno. Non è la prima volta che i paletti di questa legge sono abbattuti dai tribunali, perché già la Consulta ne aveva dichiarato la parziale illegittimità.

Adesso il giudice Antonio Scarpa ha concesso il diritto di accedere alla provetta anche ad una coppia che non è sterile ma portatrice di una malattia genetica. “Il diritto a procreare – si legge nelle motivazioni del giudice – e lo stesso diritto alla salute dei soggetti coinvolti, verrebbero irrimediabilmente lesi da un’interpretazione delle norme in esame che impedissero il ricorso alle tecniche di pma (procreazione medicalmente assistita) da parte di coppie, pur non infertili o sterili, che però rischiano concretamente di procreare figli affetti da gravi malattie, a causa di patologie geneticamente trasmissibili”.
 
La coppia lombarda che aveva fatto ricorso al tribunale di Salerno avrebbe potuto trasmettere l’Atrofia muscolare spinale di tipo 1, che porta alla morte dei bambini nel primo anno di vita, perché entrambi i genitori erano portatori sani della malattia. Si erano quindi rivolti al ginecologo Domenico Danza, di Salerno, per accedere alle pratiche di procreazione assistita ma il medico, legge alla mano, non aveva potuto fare niente. Di qui la decisione di ricorrere al giudice.
 
Ora il tribunale ha accordato il diritto di accedere alla procreazione assistita preceduta dalla diagnosi genetica preimpianto ordinando il trasferimento in utero dei soli embrioni sani.
 
La sentenza è certamente storica e ha, infatti, ricevuto già numerose critiche, prima fra tutte quella del sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella, che l’ha definita "gravissima", perché con questa sentenza "disabilità diventa criterio di discriminazione rispetto al diritto di nascere". Il sottosegretario Roccella si chiede a chi faccia riferimento la motivazione della sentenza quando parla di "salute". “Non certo degli embrioni – continua Roccella – che anzi vengono sacrificati in un numero molto alto, anche 20. Il giudice in sostanza stabilisce che per il diritto alla salute di uno si può sacrificare il diritto alla vita di venti”.
 
Di tutt’altro avviso Gianni Monni, primario dell’ospedale Microcitemico di Cagliari e Presidente dei ginecologi ospedalieri italiani che la definisce “una vittoria della donna” e dichiara che «Ora tutte le coppie talassemiche e quelle portatrici di altre malattie genetiche potranno far nascere dei bambini sani ed evitare inutili e dolorosi aborti quando conoscono il destino dei feti ammalati».
 
La coppia, oggi quasi 40enne, potrà quindi tentare una nuova gravidanza ricorrendo alla diagnosi preimpianto senza dover emigrare all’estero. “Ho avuto 5 gravidanze, un figlio solo e 4 lutti. – ha spiegato la donna – Dopo l’ultimo aborto abbiamo deciso di ricorrere al giudice piuttosto che andare fuori dall’Italia”.
 
La sentenza farà discutere a lungo, così come nel luglio scorso fece un’altra sentenza del tribunale di Bologna che aveva dato via libera alla selezione dell’embrione sano per una coppia fiorentina già genitori di un figlio colpito da distrofia di Duchenne, trasmessa dalla madre.

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