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Farouk: il diario del Diavolo

E’ notizia di poche ore fa: il Washington Post ha pubblicato, grazie all’aiuto di Facebook, noto social network, alcuni interventi e commenti di bacheca di Umar Farouk Abdulmutallab, il ragazzo nigeriano che nel giorno di Natale ha tentato di farsi esplodere sull’aereo destinato a Detroit e in partenza da Amsterdam. Non è nostra abitudine, quando ci ritroviamo davanti alla cronaca riguardante il terrorismo, analizzare il lato umano degli artefici e dei protagonisti delle vicende, si risolve tutto pensando che in ballo ci siano interessi riguardanti la lotta politica, la religione, la differenza di classe sociale. Sono questi i moventi che ci concedono o che sembrano più plausibili per noi.
 
Analizzando nello specifico le parole del giovane emergono particolari interessanti, malinconici, riflessivi che chiariscono un po’ il quadro riguardante il protagonista, in negativo, di questo fine 2009. Datati dal 2005 al 2007, i messaggi ritrovati disegnano il profilo di un ragazzo solo, depresso, senza alcun amico, emarginato socialmente forse dalla sua stessa religione. Il disagio di Farouk (questo il suo nickname), oltre alle classiche paure comuni riguardanti test universitari e il possibile futuro che si stava costruendo, riguardano anche nello specifico la sua religione, l’Islam. «Il profeta ha detto che la religione è facile e chiunque cercherà di caricarsi di un peso eccessivo non potrà continuare, così ogni volta che mi rilasso, mi trovo a deviare ed allora devo tornare ad impegnarmi ma poi mi stanco di quello che sto facendo, per esempio memorizzare il Corano, come posso trovare un giusto equilibrio?». Un peso troppo grande per lui? Perché allora sacrificarsi addirittura in nome di Dio? Le riflessioni sono tante. Il ragazzo, studente in una prestigiosa scuola britannica, aveva evidenti problemi di integrazione, forse per la mancanza di amici musulmani che seguivano la sua stessa fede, come si evince leggendo il resto dei suoi messaggi. Il gesto scellerato che ha provato a compiere non ha giustificazioni certo, ciò che viene lecito chiedersi è se questo ragazzo non avesse avuto tutte queste difficoltà in terra straniera come si sarebbe comportato poi col tempo, quale sarebbe stato il suo stile di vita, oltre a tentare di conciliare la sua vita, improntata all’Islam, con la vita occidentale? Una triste conclusione, non bastavano i fanatici religiosi.

Commenti all'articolo

  • Di pv21 (---.---.---.69) 29 dicembre 2009 18:16

    Può succedere di tutto quando si perdono le "radici". E’ il problema di una GENERAZIONE senza bussola che non sopravvive alla destrutturazione dei valori. Pochi sono quelli che trovano la risposta in una FEDE (senza miracoli) che dia senso vero alla vita. (c’è di più => http://forum.wineuropa.it )

  • Di pint74 (---.---.---.240) 29 dicembre 2009 18:28
    pint74

    Mi sembra che i media ed il governo USA abbiano imputato alla solita organizzazione terroristica il gesto invece imputabile ad un ragazzo con gravi problemi mentale.
    Forse una soluzione di comodo per giustificare l’aumento di soldi,mezzi e carne da macello da spedire al fronte.
    Giusto per dire "il nemico è sempre li" e quindi dobbiamo incrementare l’impegno economico nelle varie guerre in cui siamo coinvolti.
    Invece,probabilmente,era solo un cane sciolto.
    Ottimo articolo ed ottima l’analisi sul terrorista.

  • Di Nicola (---.---.---.239) 29 dicembre 2009 18:30
    Nicola

    pint74 ti ringrazio per i complimenti riguardo l’articolo, sono stato spronato a scriverlo proprio per le tue stesse considerazioni

  • Di Gabriel Durrell (---.---.---.130) 30 dicembre 2009 11:40
    Finalmente un articolo che offre spunti di pensiero.

    La religione non risolve i problemi. Li crea.
    Da sempre, la religione, così come altre superstizioni, sono alla base di molte difficoltà di integrazione tra popoli differenti. Difficoltà che portano disagi non solo alla propria comunità ma anche al singolo individuo. Disagi psicologici che sfociano inevitabilmente in atti estremi. Contro gli altri o contro sé stessi. Esattamente come qualsiasi altro disagio dato dalla cattiva integrazione.

    L’uomo è un essere che ha bisogno di integrazione e di spirito di appartenenza.
    La religione, facile quanto illusoria soluzione al problema della condizione "temporanea" umana, ancora una volta divide anziché unire.

    Persino in modo indiretto.

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