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Come nasce la globalizzazione?

La globalizzazione o quanto meno l’idea di uscire dal "fordismo" inteso come modo tradizionale del produrre localizzato, con catene di montaggio e produzioni seriali, si afferma verso la fine degli anni ’70 e trova supporti e consensi nella politica di Ronald Reagan, detta "reagnomics" o meglio "deregoulations che fondandosi sulle teorie di Adam Smith passa dalla produzione fissa detta delle fabbriche, degli stoccaggi e dei magazzini, a quella dell’ordine in tempo reale, delocalizzando in Estremo Oriente e nel sud del mondo la produzione.
 
L’idea è quella, per le multinazionali, di abbattere verticalmente i costi e incrementare i profitti, soprattutto rendersi immuni dalle crisi di sovrapproduzione cicliche, con l’invenduto in casa e salari e vertenze sindacali da esperire, quindi si decide di abolire gli operai, le strutture fisse, le fabbriche e tutti costi passivi per optare soltanto su sedi finanziarie ed organizzative dislocate in piu’ paesi, puntando tutto sul marketing globalizzato e una pubblicità planetaria, diffusa su ogni media, sul’incremento alla domanda per prodotto e sul rafforzamento del logo o immagine del prodotto.
 
Questa tendenza ha da un lato consentito di dare una spinta incredibile al plusvalore e dall’altro a far diventare gigantesca la finanza virtuale o borsistica, se da una produzione vecchia di tipo fordista, si ricavava un utile di massimo il 15% dedotto dei costi e dell’imposizione fiscale, delocalizzando sale a quote anche superiori del 200%, gli asiatici in particolare cinesi, tailandesi, vietnamiti, indiani,organizzano grandi fabbriche contractors, in grado di servire produzioni per più committenti e solo a fronte dell’ordine di consegna. In questo modo con salari bassissimi, mancanza totale di welfare e sicurezze sociali, il PIL del comparto asiatico cresce in maniera esponenziale. In Occidente invece stenta a decollare con l’esenzione/evasione fiscale delle società offshore che causano dalla metà degli anni ’90 ad oggi, per le multinazionali americane ed europee, il più grande spostamento di ricchezza dai salari occidentali da redditi fissi, alle rendite finanziarie e ai paradisi fiscali mai registrato nella storia moderna.
 
La finanza bancario-borsistica assume così caratteristiche parossistiche, un vero “oppio dopante del sistema”, ogni titolo forte degli iper profitti realizzati nel modo prima descritto è oggetto di crescite esponenziali favorendo speculazioni e scalate continue a vantaggio soprattutto dei grandi proprietari di loghi o marchi, e il processo va ad interessare i piccoli risparmiatori occidentali che subiscono anche le oscillazioni croniche indotte nella volatilità generale del sistema, utile solo per i grandi azionisti, ma svantaggiosissimo per i piccoli che finiscono per perdere spesso tutti i loro risparmi.
 
L’effetto tossico è così’ l’indebitamento parossitico e l’impoverimento di centinaia di milioni di occidentali tra USA, Uk, Germania, nord e sud Europa. In USA si sopperisce alla compressione/disintegrazione dei salari col debito e il credito facile che crea la nota e nefasta bolla dei mutui sub prime.
 
Con gli attuali mezzi a disposizione degli Stati si potrà uscire dalla crisi?
 
Molti economisti dicono di no e sono scettici su questo piano, l’aver immesso valuta pubblica e risorse come in USA e Europa a sostegno delle banche, senza ottenere o indicare veramente regole e garanzie verso un differente sistema volto alla riqualificazione dei salari e un ritorno al riavvicinamento delle produzioni ai consumi, rende praticamente impossibile uscire dalla crisi, essa si stabilizzerà borsisticamente nella ripresa degli scambi e negli attivi temporaneamente, ma questo fattore non corrisponderà affatto ad un ritorno di redditività nelle classi subalterne di tutto l’Occidente e quindi la domanda sarà sempre asfittica e necessitante di crediti ed ulteriori indebitamenti su quelli che già rendono difficile e da tempo, la vita a molti in Occidente, ”un cane che si morde la coda” con riduzione delle entrate fiscali, per gli Stati, l’aumento dei debiti pubblici e la conseguente tendenza alla riduzione di vari welfare troppo costosi e senza correttivi sempre piu’ insostenibili.
 
Nessuno dei capitalisti globalizzatori occidentali straricchi oggi (meno dello 0.5% della popolazione mondiale) padroni delle multinazionali più potenti e detentori della maggior quota della ricchezza monetaria del pianeta, se non costretti da legislazioni statali internazionali rigidissime, si autoridurrà per bontà o filantropismo le quote di profitto/furto fin qui acquisite e ben collocate nei paradisi fiscali, né avranno la ben che minima voglia di modificare spontaneamente, la struttura utile ed atomizzata esentasse, delle comode società off shore ubicate nei “paradisi” e in grado di evitare le fiscalità dei paesi d’origine e provenienza dei vari loghi e marchi di interesse, griffati o meno.
 
E la Cina strapotenza asiatica emergente è essenzialmente e rimane, rimarrà a lungo paese produttore ed esportatore di merci a basso costo, non in grado di assorbire assolutamente le produzioni di eccellenza e nicchia occidentali, costose e di extra lusso, ancora realizzate nei vari paesi. Inoltre il modo di produrre che è oltre che ecologicamente anche socialmente è scorrettissimo (con più del 50% della popolazione cinese che non vive nei grandi centri urbani e di produzione in condizione di estrema miseria, egualmente come quella indiana e di tutte le altre nazioni oggi invia di sviluppo) causerà per l’obsolescenza del produrre sporco ed iper/energivoro l’ulteriore incremento di produzione globale di co2 e gas serra che al ricrescere della ripresa, aumenterà e con essa anche il parossistico fabbisogno di combustibili fossili: gas, petrolio, carbone, fino a causare ulteriori crisi per la crescita dei costi di tutte le materie prime, regolate solo, e ancora, dalla super speculazione internazionale.

La crescita demografica vettoriale della popolazione, oggi pari circa a 6 miliardi e 700milioni di persone sul pianeta, sarà ulteriore fattore d’aggravamento delle condizioni di vita del pianeta.


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