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Bankitalia: non esistono “pranzi gratis”

There is no such thing as a free lunch, dicono gli economisti americani, e non hanno torto.

Il Bollettino Economico di Ottobre della Banca d’Italia ci informa che «Lo stato dei conti pubblici è in notevole peggioramento, risentendo soprattutto della dinamica particolarmente negativa delle entrate» ed il debito pubblico ha raggiunto il ragguardevole ammontare di Euro 1.663.031 milioni, pari a circa Euro 27.700 per ciascuno di noi, neonati compresi.
 
Per converso i tentativi di ridurre l’altrettanto notevole pressione fiscale sono destinati ad un sostanziale fallimento: non abbiamo proprio dove andare a prenderli, i soldi. Anzi, dobbiamo pagare il pranzo di tanti anni di spesa pubblica dissennata e questa sarà l’eredità che lasceremo alle future generazioni.
 
Perché il guaio è che, alla fine, qualcuno deve pagare, ma raramente chi paga è colui che si è seduto a tavola.

 
All’epoca della lira la spesa pubblica era il “collante” adoperato da un partito interclassista, la Democrazia Cristiana, per tenere legate a sé le più disparate classi sociali. Si spendeva allegramente per non scontentare nessuno ed alla fine il pagamento era di tipo monetaristico ed inflattivo: avevamo una inflazione a due cifre, la lira si svalutava sistematicamente rispetto alle altre monete ed il conto lo pagavamo tutti in misura diversa a secondo di come ci passava sopra la falce della perdita di valore monetaria.
 
Da quando siamo passati nell’era dell’Euro questo meccanismo non può più funzionare: abbiamo la stessa inflazione di tutta la Euro zone e siamo sempre come quelle persone sovrappeso, con il pensiero volto sempre alla bilancia (nel nostro caso al deficit di bilancio statale).
 
In compenso, si potrebbe pensare, chissà quali lauti pasti! Ed invece neanche per sogno: le nostre Istituzioni sono fra le più malfunzionanti del Vecchio Continente e le spese servono per le esigenze della politica, di clientele et similia. Soprattutto nel Meridione, se ci guardiano intorno vediamo cattedrali nel deserto e pubblici uffici inutili, oppure con dotazione d’organico tre/quattro volte superiore al necessario.
 
Porto alcuni esempi. In un Ufficio regionale, di cui non faccio il nome, ogni tanto tutti gli impiegati diventano assidui frequentatori della loro postazione, ad esempio quando cambia il Capo-ufficio. Orbene, quando questo accade, si genera una certa ressa presso i due ingressi, dove tre uscieri basterebbero ed invece stazionano una dozzina di persone. In una facoltà universitaria, invece, era la segreteria del Preside ad essere presidiata da ben tre giovani signore vestite, truccate ed ingioiellate con accuratezza. Vi direte, sarà stata una facoltà di tutto respiro, con un considerevole numero di studenti e di professori. Neanche per sogno : l’anno successivo è stata chiusa perché aveva pochissimi iscritti e la mannaia del Ministro Gelmini è inesorabilmente calata su di essa. Non parliamo poi degli ATO per la nettezza urbana, frutto del siculo genio di Salvatore Cuffaro : ventinove ATO ventinove nell’isola, ciascuno con un proprio Consiglio di Amministrazione, un Collegio di Revisori dei Conti, un Presidente, una sede, un elenco di consulenti, e così via. E’ stato il più riuscito tentativo al mondo di ricavare denaro dai rifiuti.
 
Intanto i politici discutono, si spostano a destra e poi a sinistra e poi al centro e poi non lo sanno nemmeno dove, si alleano e si lottano fra di loro, stringono patti e si muovono guerra, e sono a favore chi delle famiglie, chi delle piccole imprese, chi delle grandi imprese, chi dei lavoratori, chi dei pensionati, chi delle donne, chi di tutti questi messi insieme, purchè se ne ricavi un pranzo gratis; a spese, sempre, dell’Erario.

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