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Accenni di ribellione saudita

Reem Asad è una signora saudita che tempo addietro ha aperto un gruppo su Facebook per chiedere che nei negozi che vendono lingerie, ci siano commesse di sesso femminile. Le regole imposte dalla religione rendono infatti molto difficile, se non impossibile, assumere personale femminile per i negozi, visto che dovrebbero essere in compagnia e custodia di un parente maschio al lavoro, essendo fuori casa e a contatto con il pubblico. È quindi scoppiata "La rivolta della lingerie", per mano delle signore che vorrebbero negozi più accoglienti, venditrici più competenti e nessun imbarazzo o tensione a rovinare la shop experience, tensione all’ordine del giorno quando il venditore è un uomo e le questioni si fanno delicatissime e pure pericolose.

Reem Asad ci ha preso gusto e ora ha deciso di rischiare di più e di alzare il tiro, diffondendo un messaggio nel quale chiama alla lotta e al sostegno alla lotta degli abitanti di Jedda, che vorrebbero vedere condannati i pubblici ufficiali che ritengono responsabili delle molte morti in occasione della recente alluvione che ha colpito la loro città. Reem ha le idee chiare e spiega che bisogna cavalcare ora il pubblico sdegno di Jedda per fare in modo che si affermi la possibilità per la società civile di protestare contro i soprusi del potere. La catastrofe ha reclamato oltre cento morti già accertati e qualche migliaio di dispersi e la causa di un disastro del genere è stata immediatamente rintracciata nello stato delle fogne che servono oltre quattro milioni di persone e che sono al centro di uno scandalo perchè, a fronte di somme più che congrue stanziate dal governo, sono in uno stato pietoso.

Il governo inizialmente ha dato la colpa all’abusivismo (ricorda qualcosa?), ma la scusa non ha retto. Pochi lo sanno, ma in Arabia Saudita sono in pochi a potersi permettere una casa di prorietà, perché i terreni appartengono alla famiglia reale, costano moltissimo (nonostante il paese sia vastissimo e la popolazione modestissima) e anche quando un cittadino abbia acquistato un terreno ne può essere espropriato da un principe reale e nessun tribunale accoglierà mai un ricorso del derubato. Solo il 20% dei sauditi vive quindi in una casa di proprietà, al contrario di quello che accade nel resto della penisola araba, dove la percentuale è dell’80%. Quindi se è colpa dell’abusivismo edilizio è colpa della famiglia reale che ha speculato, se è colpa delle fogne è colpa della famiglia reale lo stesso, perché sono i membri della famiglia reale che sovrintendono gli appalti e alle spese.

Le fogne non sono in cima ai pensieri del re e cosi a Jedda hanno fatto per anni come a Dubai, spedendo cisterne piene a sversare in un’area desolata a cielo aperto, mentre i soldi stanziati per le fogne finivano altrove.

La signora è cosciente del rischio che corre, l’ultimo che ha provato rispettosamente a chiedere al sovrano qualche timida riforma è finito in esilio a Londra e poi (con la complicità dell’amministrazione Bush) sulla lista internazionale dei terroristi. Solo per una lettera, per fortuna la Gran Bretagna ha resistito alle pressioni saudite e ha dato asilo al poveretto. Ma la signora sa anche che i fatti di Jedda stanno offrendo l’occasione per fissare un precedente importante, con il quale si apre una finestra per la voce e le critiche dei cittadini che, come molti altri, stanno usando Facebook per diffondere le loro ragioni.

khobar

La durezza della monarchia e del clero sunnita che controlla s’infrange su un corpo sociale benestante che in realtà è tra i meno devoti ad Allah di tutti i paesi arabi e tra i più attenti agli stili di vita occidentali. Il recente riot giovanile a Khobar ha scosso il paese, ma non è giunto inatteso ne è sembrato incredibile. Molti commentatori sauditi si sono chiesti perché ai giovani non basti più la possibilità d’andare a far danni a Dubai, dove oltre alle prostitute ci sono anche cinema, teatri e altre amenità proibite che in patria procurano frustate (nella foto uno dei rivoltosi di Khobar durante la punizione), quasi che sia incomprensibile l’insofferenza dei giovani per il "regno della noia" saudita e per le frustate con le quali si puniscono comportamenti che ormai non sono percepiti come sbagliati o peccaminosi dai più.

Sembra proprio che il coperchio monarchico sulla pentola saudita non riesca più a contenere le spinte di una società in ebollizione, "contaminata" dal benessere, dai viaggi all’estero e dalla presenza di 7 milioni di immigrati ad accudire appena 12 milioni di sauditi. Non resta che augurare le migliori fortune a Reem e alle sue compagne d’avventura, che cercano supporto tra gli utenti di Facebook ben sapendo che nessun governo occidentale oserà mai alzare la voce contro la monarchia saudita.

 
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