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9 Novembre 1989. Vent’anni dopo

9 Novembre 1989, il muro della vergogna cade e Berlino, divisa per 40 anni, torna respirare.
 
Il muro di Berlino fu eretto negli anni ’60, dopo che la capitale tedesca e la Germania erano state spartite dalle potenze uscite vincitrici dalla Seconda Guerra Mondiale (Berlino Ovest andò alle potenze capitaliste, mentre Berlino Est andò nelle mani dell’Unione Sovietica; stessa cosa avvenne per la Germania intera).
 
A volere la costruzione, fu la Germania Est, rossa come il sangue, in modo da fermare tutti quei professionisti ed intellettuali che volevano, o stavano in procinto di emigrare verso la libertà, via da un regime troppo restrittivo come quello comunista.
 
Il muro, lungo oltre 40 km, composto da torrette di controllo armate fino ai denti, divideva quindi la popolazione; famiglie, amici erano state inesorabilmente divise, un bambino da una parte, la madre dall’altra. Chi cercava di scavalcare il muro veniva trivellato di colpi, senza umiltà. Più di cento sono state le vittime.
 
Ancora una volta il popolo doveva soffrire per la superbia dei potenti. 
 
Finalmente, dopo anni in cui la fiamma rimase fredda e mai si trasformò in un incendio, il muro fu abbattuto, non da semplici addetti, ma dalla forza, dalla rabbia, dalla ferocia di un popolo che, fucilata la paura, armi in spalla, cominciò a sbriciolarlo. Il mondo era lì, con il fiato sospeso, davanti alle televisioni, alla radio, a seguire la distruzione, secondo per secondo, senza perdersi un attimo.
 
L’alba di una nuova epoca era sorta.
 
Oggi, vent’anni dopo il mitico evento, il mondo ricorda. Ancora una volta Berlino si riversa nelle strade. Stavolta non lo fa con la ferocia, ma con la brezza di un ricordo di un giorno felice e importante. I festeggiamenti sono pronti, che le danze abbiano inizio. Lì, dove sorgeva il muro, adesso si erge una fila lunghissima di carte da domino, dipinte da bambini di tutto il mondo. La prima, la seconda, la terza e così via, tutte cadono, una dopo l’altra.
 
Ed ecco che alla fine, le tenebre del cielo vengono illuminate da maestosi fuochi d’artificio; gli occhi degli spettatori brillano come non mai. Tutti quegli occhi scrutano il cielo per gustarsi fino all’ultimo lo spettacolo della luce; sguardi di speranza che sognano, sognano un mondo che dovrebbe essere e che mai è.
 
I potenti, nel frattempo, stanno a guardare, seduti, mostrando dolore. Anche la Russia e gli Stati Uniti sono presenti, portando anche loro nel cuore sentimenti di amarezza, di rimorso. Quanta ipocrisia dobbiamo ancora sopportare? Guardateli, che fingono dolore, loro che hanno causato l’impossibile, loro che stavano per spazzare via il mondo senza neanche un briciolo di scrupolo.

Il mondo sta a guardare, come vent’anni fa, indignato, stufo della violenza, della superbia che ogni giorno scorre come un fiume in piena tra i signori delle nazioni.
Quel lontano 9 Novembre doveva rappresentare l’inizio di una nuova epoca, ma fondata su che cosa? Difficile parlare di pace, specie quando in alcuni angoli del mondo ci stanno persone che si fanno saltare in aria uccidendo migliaia di civili, quando ancora si fanno guerre solo per denaro, petrolio, acqua.
 
Allora perché si è trattato di una nuova epoca? Ecco la risposta. La novità non c’è mai stata e non ci sarà mai, almeno finché l’uomo non scomparirà. Ci parlano di pace quando ancora le guerre sono attive, ci parlano di speranza quando siamo noi, i primi a non averne più. Siamo stanchi della falsità.
 
Ma purtroppo, parliamo invano, e nessuno ci ascolta, nessuno ascolta le nostre grida di rabbia e nessuno lo farà mai.

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