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Credere nella rieducazione: mito progressista o credenza reazionaria?

Di Osvaldo Duilio Rossi (---.---.---.203) 14 ottobre 2019 16:39
Osvaldo Duilio Rossi

Michel Foucault (Sorvegliare e punire: nascita della prigione) ha spiegato ampiamente come lo scopo del carcere non sia rieducare, ma controllare, di pari passo ad altre istituzioni modellate sull’istituto della confessione cattolica (come la scuola, l’ospedale, ecc.).

Oggi il dibattito gravita attorno ai collaboratori di giustizia, una delle tante declinazioni della confessione, e va da sé che la scelta della Corte europea di negare l’assioma confessione=premiazione disturbi chi è cresciuto in un regime educativo basato sulla partizione tra primi della classe e somari, tipico italiano (e leggetevi La scuola cattolica di Albinati, se ve lo siete perso).

Ma ciò non esclude che le istituzioni punitive abbiano lo scopo di recuperare la devianza (termine sociologico di Merton), di riformarla, cioè di darle una forma riconducibile alla norma.

La prendo larga: nella gestione dei conflitti aziendali, dove rileviamo una devianza evidente dal ruolo e dagli scopi istituzionali, sappiamo che è necessario (ri)formare le risorse umane a regolare il conflitto, a negoziare le soluzioni e a comunicare efficacemente. Ma in Italia l’idea non piace affatto, benché funzioni, perché siamo abituati proprio a "sorvegliare e punire", cioè a manifestare il potere, anziché a risolvere i problemi.


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