Come (dis)fare >
Non si
ascoltano delle congrue ragioni a sostegno della proposta di far prevalere
l’inviolabilità di un “vincolo di mandato” tra l’eletto e la forza politica che
lo candida.
A parte la necessaria modifica dell’art. 67 della Costituzione (e
non solo !), sembra che vengano ignorati alcuni dati di fatto.
PRIMO.
E’
accertato che nel corso di 5 anni di una legislatura le forze politiche e/o i rispettivi
gruppi parlamentari possono varie volte “rivedere” e modificare indirizzo,
linea d’azione e struttura organizzativa.
QUESTO può benissimo risultare poco o
affatto “conciliabile” con gli obiettivi/propositi originari dell’eletto.
Non a
caso le soglie minime di iscritti valgono anche per formare un “nuovo” gruppo
politico.
SECONDO.
In entrambi le Camere esiste il Gruppo MISTO in cui vengono,
d’ufficio, inseriti i parlamentari che non risultino iscritti ad altro gruppo.
Ivi compresi singoli fuoriusciti.
TERZO.
L’art 49 della Costituzione fissa per
i cittadini il “diritto di associarsi liberamente in partiti” e quindi anche il
diritto di recedere, liberamente.
Per contro adesso si propone che l’eletto dai
cittadini debba rinunciare al proprio seggio se decide, sua sponte, di non far
più parte della forza politica con cui si è candidato, sperando di essere
prescelto.
Concludendo.
Sono dei voltagabbana solo quei parlamentari che
cambiano bandiera per un preciso interesse personale (tornaconto) tanto venale quanto
inconfessabile.
Casi disdicevoli di competenza di una Commissione Disciplinare
in grado di maturare provvedimenti sanzionatori efficaci (dalla sospensione
alla decadenza).
Ergo.
L’eventuale inconcludenza e la “volatilità” di una rappresentanza
non giustificano siffatti “sbrigativi” tentativi di (dis)fare il dettato costituzionale.
SAGGIO è diffidare di chi elabora Riflessi e Riflessioni fascinose …