Per aggiunger altra verità condivido alcuni pezzi di un libro - Tra il 1945 e il 1960 “il cammino della speranza” passava per
le Alpi -
L’immagine è drammatica,
come la didascalia che l’accompagna: mostra una donna che,
“sorpresa dalla tempesta di neve vide il suo bambino spirarle tra
le braccia, proseguì per qualche tratto e infine cadde esausta con
l’altro figlio: i tre corpi furono trovati due giorni dopo”.
Più di una volta la tragica fine degli emigranti clandestini
italiani alla ricerca di lavoro e fortuna oltralpe finì sulle pagine
de “La Domenica del Corriere”. Del resto i quotidiani quasi ogni
giorno erano costretti a dar conto, con toni più o meno
allarmistici, di episodi analoghi, tanto difficile era tenere una
contabilità dei caduti.
Sugli attraversamenti si avevano solo indicazioni di
massima e comunque inquietanti. In Val d’Isère, ad esempio, per
raggiungere Bourg-Saint-Maurice, nel settembre 1946 arrivavano in
media 300 clandestini al giorno, toccando addirittura le 526 unità
in un’occasione. In Val di Susa il comune di Giaglione dovette
chiedere aiuto alla prefettura di Torino non avendo più risorse per
seppellire quanti morivano nel disperato tentativo di valicare le
Alpi. Nel 1948 il “Bollettino quindicinale dell’emigrazione”
scriveva che quotidianamente in quel luogo passavano illegalmente in
Francia “molto più di cento emigranti” e “due o tre al mese,
almeno”, secondo un rapporto di un agente del Servizio di
informazioni militare, non ce la facevano.
Allora come oggi non
mancavano persone senza scrupoli che lucravano sulle disgrazie
altrui. Il sindaco di Bardonecchia, Mauro Amprimo, sentì il dovere
di far affiggere un manifesto nel quale si rivolgeva alle guide
alpine. “Anche se compiono azione contraria alla legge – vi si
leggeva – sappiano almeno compierla obbedendo a una legge del
cuore, discernendo e accompagnando, cioè, soltanto quegli individui
che appaiono loro chiaramente in condizioni fisiche tali da
sopportare il disagio della traversata dei monti e scegliendo altresì
condizioni di clima che non siano proibitive e non abbandonando i
disgraziati emigranti a metà percorso”.
Sessant’anni fa,
dunque, i clandestini erano gli italiani, le Alpi il “mediterraneo”
da attraversare verso l’agognata meta, alcune guide alpine gli
scafisti dell’epoca. Ma in tempi in cui si parla non sempre con
accenti benevoli degli immigrati e in particolare degli irregolari,
in Italia – Paese dalla memoria corta e non sempre condivisa –
sono in pochi ad avere coscienza di questo passato. E d’altra parte
la pubblicistica ha sostanzialmente ignorato il fenomeno,
interessandosi prevalentemente dell’immigrazione regolare, più
facile da documentare e da seguire. Eppure, stando a quanto racconta
Sandro Rinauro nel bel libro Il cammino della speranza
(Torino, Einaudi, 2009, pagine 436, euro 35), dal quale sono tratte
le notizie citate, il 50 per cento dei lavoratori italiani emigrati
in Francia tra il 1945 e il 1960 era clandestino e il 90 per cento
dei loro familiari li raggiunse altrettanto illegalmente.