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L’Afghanistan, la sharia e le donne

Di sopracciglio (---.---.---.96) 21 aprile 2009 16:42

La comunità occidentale dovrebbe ricordarsi, intanto, che in tema di rapporti internazionali vige il principio di reciprocità, per il quale, molto banalmente, nel mio paese puoi fare quello che il tuo paese mi consente di fare lì. E non mi risulta, correggetemi se sbaglio, che gli italiani che vivono in Afghanistan possono avere legislazioni separate, libertà di culto a spese dello stato ospitante, ecc. ecc.. Non sto facendo discorsi razzisti, leghisti o quant’altro, sto solo dicendo che, se quel principio fosse applicato qui, i paesi islamici sarebbero spronati ad atteggiamenti meno intransigenti e si potrebbe attuare, nel tempo, un processo di vera mediazione tra culture in tema di diritti civili e libertà fondamentali.
Prima ancora, ci si dovrebbe organizzare nel senso di rappresentare, a chi viene qui, che non si può ammazzare la figlia che si trucca o che frequenta l’italiano, o il figlio che torna tardi a casa, senza finire in galera per un bel pezzo; un mini corso sulle regole vigenti nel paese ospitante, la cui accettazione deve costituire condizione d’ingresso (va anche ricordato che molti immigrati non hanno la percezione dell’antigiuridicità di certi comportamenti, leciti o tollerati nel loro paese d’origine).
Questo è quello che può fare l’occidente, e per essere credibile dovrebbe al contempo perseguire seriamente i bastardi occidentali che sfruttano il lavoro degli immigrati, che gli locano stamberghe a nero e a costi esorbitanti, che gli rifiutano le cure mediche (o che separano il neonato dalla madre, v. Napoli, non si sa perché), ecc. ecc., il tutto con delle politiche internazionali per quanto possibile aperte al dialogo e scevre da scellerate cointeressenze solo economiche che si basano sul mantenimento dello status quo.
Mi pare evidente che invece si procede nella direzione opposta, qui la logica è ancora quella della demonizzazione dello straniero ma anche del suo sfruttamento istituzionalizzato, per cui è più facile lasciare le cose come stanno o concedere l’applicazione della sharia.
Il resto, come per ogni processo di autodeterminazione di un popolo, lo faranno i moti di ribellione e i morti, il tempo e forse anche il flebile sdegno della comunità internazionale.
O vogliamo di nuovo esportare la nostra fetente democrazia a suon di bombardamenti?
 


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