La propaganda "sionista" quando punta un bersaglio agisce per gradi: un po’ distorce, un po’ nasconde, un po’ esagera, un po’ riduce, un po’ mente: lasciando al grado successivo il compito di portare un po’ più avanti l’opera di denigrazione.
A lei è toccato il compito di rinforzare su questo mezzo di comunicazione l’idea che Ovadia abbia lasciato la sua comunità (un passo grave per un ebreo) per basse questioni di interesse commerciale o di ambizione delusa.
In tali casi conviene sempre sentire direttamente il bersaglio.
MONI OVADIA
08.11.2013
Lunedì
scorso tramite un’intervista chiestami dal Fatto Quotidiano, ho dato
notizia della mia decisione definitiva di uscire dalla comunità ebraica
di Milano, di cui facevo parte, oramai solo virtualmente, ed
esclusivamente per il rispetto dovuto alla memoria dei miei genitori. A
seguito di questa intervista il manifesto mi ha invitato a riflettere e
ad approfondire le ragioni e il senso del mio gesto, invito che ho
accolto con estremo piacere. Premetto che io tengo molto alla mia
identità di ebreo pur essendo agnostico. Ci
tengo, sia chiaro, per come la vedo e la sento io. La mia visione
ovviamente non impegna nessun altro essere umano, ebreo o non ebreo che
sia, se non in base a consonanze e risonanze per sua libera scelta. Sono
molteplici le ragioni che mi legano a questa «appartenenza». Una
delle più importanti è lo splendore paradossale che caratterizza
l’ebraismo: la fondazione dell’universalismo e dell’umanesimo monoteista
- prima radice dirompente dell’umanesimo tout court - attraverso un
particolarismo geniale che si esprime in una "elezione" dal basso. Il
concetto di popolo eletto è uno dei più equivocati e fraintesi di tutta
la storia. Chi
sono dunque gli ebrei e perché vengono eletti? Il grande rabbino Chaim
Potok, direttore del Jewish Seminar di New York, nel suo «Storia degli
ebrei» li descrive grosso modo così : «Erano una massa terrorizzata e
piagnucolosa di asiatici sbandati. Ed erano: Israeliti discendenti di
Giacobbe, Accadi, Ittiti, transfughi Egizi e molti habiru, parola di
derivazione accadica che indica i briganti vagabondi a vario titolo:
ribelli, sovversivi, ladri, ruffiani, contrabbandieri. Ma soprattutto
gli ebrei erano schiavi e stranieri, la schiuma della terra». Il divino
che incontrano si dichiara Dio dello schiavo e dello Straniero. E,
inevitabilmente, legittimandosi dal basso non può che essere il Dio
della fratellanza universale e dell’uguaglianza. Non
si dimentichi mai che il «comandamento più ripetuto nella Torah sarà:
Amerai lo straniero! Ricordati che fosti straniero in terra d’Egitto! Io
sono il Signore!» L’amore per lo straniero è fondativo dell’Ethos
ebraico. Questo «mucchio selvaggio» segue un profeta balbuziente, un
vecchio di ottant’anni che ha fatto per sessant’anni il pastore,
mestiere da donne e da bambini. Lo segue verso la libertà e verso
un’elezione dal basso che fa dell’ultimo, dell’infimo, l’eletto -
avanguardia di un processo di liberazione/redenzione. Ritroveremo la
stessa prospettiva nell’ebreo Gesù: «Beati gli ultimi che saranno i
primi» e nell’ebreo Marx: «La classe operaia, gli ultimi della scala
sociale, con la sua lotta riscatterà l’umanità tutta dallo sfruttamento e
dall’alienazione». Il
popolo di Mosé fu inoltre una minoranza. Solo il venti per cento degli
ebrei intrapresero il progetto, la stragrande maggioranza preferì la
dura ma rassicurante certezza della schiavitù all’aspra e difficile
vertigine della libertà. Dalla
rivoluzionaria impresa di questi meticci «dalla dura cervice», scaturì
un orizzonte inaudito che fu certamente anche un’istanza di fede e di
religione, ma fu soprattutto una sconvolgente idea di società e di
umanità fondata sulla giustizia sociale. Lo
possiamo ascoltare nelle parole infiammate del profeta Isaia. Il
profeta mette la sua voce e la sua indignazione al servizio del Santo
Benedetto che è il vero latore del messaggio: «Che mi importa dei vostri
sacrifici senza numero, sono sazio degli olocausti di montoni e del
grasso dei giovenchi. Il sangue di tori, di capri e di agnelli Io non lo
gradisco. Quando venite a presentarvi a me, chi richiede da voi che
veniate a calpestare i Miei Atri? Smettete di presentare offerte
inutili, l’incenso è un abominio, noviluni, sabati, assemblee sacre, non
posso sopportare delitto e solennità. I vostri noviluni e le vostre
feste io li detesto, sono per me un peso sono stanco di sopportarli.
Quando stendete le mani, Io allontano gli occhi da voi. Anche se
moltiplicate le preghiere, Io non ascolto. Le vostre mani grondano
sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni
dalla mia vista. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene,
ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia
all’orfano, difendete la causa della vedova».( Isaia I, cap 1 vv 11-
17). Il
messaggio è inequivocabile. Il divino rifiuta la religione dei
baciapile e chiede la giustizia sociale, la lotta a fianco
dell’oppresso, la difesa dei diritti dei deboli. Un corto circuito della
sensibilità fa sì che molti ebrei leggano e non ascoltino, guardino e
non vedano. Per questo malfunzionamento delle sinapsi della giustizia, i
palestinesi non vengono percepiti come oppressi, i loro diritti come
sacrosanti, la loro oppressione innegabile. Qual’è
il guasto che ha creato il corto circuito. Uno smottamento del senso
che ha provocato la sostituzione del fine con il mezzo. La creazione di
uno Stato ebraico non è stato più pensato come un modo per dare vita ad
un modello di società giusta per tutti, per se stessi e per i vicini, ma
un mezzo per l’affermazione con la forza di un nazionalismo idolatrico
nutrito dalla mistica della terra, sì che molti ebrei, in Israele stesso
e nella diaspora, progressivamente hanno messo lo Stato d’ Israele al
posto della Torah e lo Stato d’Israele, per essi, ha cessato di essere
l’entità legittimata dal diritto il internazionale, nelle giuste
condizioni di sicurezza, che ha il suo confine nella Green Line, ed è
diventato sempre più la Grande Israele, legittimata dal fanatismo
religioso e dai governi della destra più aggressiva. Essi si pretendono
depositari di una ragione a priori. Per
questi ebrei, diversi dei quali alla testa delle istituzioni
comunitarie, il buon ebreo deve attenersi allo slogan: un popolo, una
terra, un governo, in tedesco suona: ein Folk, ein Reich, ein Land.
Sinistro non è vero? Questi ebrei proclamano ad ogni piè sospinto che
Israele è l’unico Stato democratico in Medio Oriente. Ma se qualcuno si
azzarda a criticare con fermezza democratica la scellerata politica di
estensione delle colonizzazioni, lo linciano con accuse infamanti e
criminogene e lo ostracizzano come si fa nelle peggiori dittature. Ecco
perché posso con disinvoltura lasciare una comunità ebraica che si è
ridotta a questo livello di indegnità, ma non posso rinunciare a
battermi con tutte le mie forze per i valori più sacrali dell’ebraismo
che sono poi i valori universali dell’uomo.
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