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Credenti e non credenti: dove porta il dialogo Scalfari-Bergoglio (seconda parte)

Di Persio Flacco (---.---.---.78) 20 settembre 2013 20:15

L’argomento è molto interessante ma terribilmente complesso da trattare, specialmente in sede di commento. Svolgo solo alcune veloci osservazioni.

Se si intende la mistica come esperienza di annullamento dell’io nell’Uno allora è vero che sarebbero escluse quelle correnti di pensiero spirituale nel quale è posto come fondamento l’alterità tra l’uno e l’altro. Ma, a mio parere, l’annullamento dell’io è un autoinganno non necessario: l’esperienza mistica può essere infatti più realisticamente formulata come la contemplazione dell’io nell’Uno. D’altra parte sarebbe difficile ammettere l’azione del contemplare senza un soggetto che contempla.

La cosa interessante è che questa esperienza può essere anche fondata razionalmente sulla base di certi presupposti, nel senso che la percezione dell’io nell’Uno corrisponde ad una realtà fisica razionalmente fondabile ed empiricamente dimostrabile. Non è semplice formulare il concetto, ma se ogni cosa che esiste è in relazione necessaria con ogni altra cosa che esiste allora tutto ciò che esiste partecipa ad un unicum. 
L’intuizione di Francesco d’Assisi è questa, intuizione che è divenuta accettazione totale di questa condizione dell’essere.

Da questo dunque discende che l’Io può essere descritto come epifenomeno dell’Uno. L’Io è nell’Uno, e non può non esservi, ma non è l’Uno. Dunque non è necessario, ed è sbagliato, ipotizzare l’annullamento dell’Io per poter contemplare l’Uno. La stessa intelligenza che osserva se stessa è un prodotto del continuo flusso di fenomeni che animano l’Uno, che è interamente fisico.

Le difficoltà che incontra la fisica a descrivere fenomeni che sono prossimi ai limiti della materia derivano a mio parere dalla impossibilità di separare dentro confini assoluti qualsiasi sistema fisico. Soprattutto è impossibile farlo con gli strumenti della matematica così come oggi è concepita, dal momento che un sistema matematico che si basa su assiomi che non tengono conto di questa realtà unitaria non possono descrivere relazioni che sorgono in essa. Ma questo sarebbe ancora più lungo trattarlo.

Volevo invece accennare velocemente al focus dell’articolo. Ho letto i Vangeli da ateo, dunque con gli occhi dello scettico, ma senza preclusioni, per quanto è possibile.

La mia conclusione è che Gesù era un mistico nel senso che dicevo sopra. Certo, per arrivare a questa conclusione occorre considerare come inutili orpelli miracoli, prodigi, genealogie ecc.
La voce di Gesù la si ritrova particolarmente in quello che sorprende, e anche scandalizza, discepoli e pubblico. Quello che ne esce è il pensiero di un uomo che ha la profonda coscienza di sé come parte dell’Uno e che tenta, con efficacia devo dire, di comunicare agli uomini questa loro condizione. Lo fa insegnando come viverla coerentemente e come percepirla interiormente.

Confesso che alcuni dei suoi insegnamenti mi hanno dato filo da torcere, ad esempio quello di porgere l’altra guancia, ma alla fine credo di essere riuscito a capire la sua profonda coerenza.
Occorre prendersi la responsabilità del Male, ma non per acquisire meriti agli occhi di Dio, occorre farlo per affermare la comunione con l’Uno e con ogni cosa che vi partecipa anche a chi, ignorandola, la nega. L’amore di cui parla Gesù è dunque la coscienza della realtà della comunione tra tutto ciò che esiste e, tanto più, tra gli uomini.

Mi fermo per non incappare nelle sue proteste.


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