Intanto la ringrazio per la risposta esauriente. Seguo le vicende di Israele da quando ero giovanissimo, ed ho iniziato a seguirle da fan sfegatato di Israele.
Nel corso degli anni, tuttavia, ho gradualmente mutato approccio alla questione, sono diventato più cauto nei giudizi, ho iniziato ad analizzare i fatti con maggiore obiettività. Questo non significa che sono diventato nemico di Israele: tutt’altro, ho solo compreso che sostenere acriticamente ogni azione della sua classe dirigente (sionista) non è bene per Israele.
Da decenni quindi tengo puntate le antenne su ciò che avviene dentro e intorno a Israele: catturo frammenti di informazione, li connetto tra loro, annuso il clima, inquadro ogni cosa nel contesto generale determinato dalle grandi potenze, dagli equilibri economici generali, dall’evoluzione del clima culturale nei diversi ambienti sociali. Tratto ogni articolo, dichiarazione, opinione, notizia, con la massima diffidenza: non prendo nulla per verosimile se non è coerente col resto.
Il risultato è che mi sono formato una mia opinione fatta di ipotesi in costante aggiornamento, e sono diventato sempre più pessimista. Questo mi causa anche angoscia perché sembra che molto pochi condividano la mia visione. Anche lei, come quasi tutti, comunica una visione che io definisco il "modello standard": la visione ufficiale di ciò che è avvenuto e che avviene, dalla quale discende una proiezione a mio giudizio falsamente e pericolosamente positiva. Mi scuso per questa lunga premessa ma mi sembrava opportuno definirmi come interlocutore.
La prima questione. Lei scrive: "mi rendo perfettamente conto di quello che lei dice e che l’accusa di antisemitismo può essere pesante." Ne ero certo. Ebbene si: lo è. E per quanto mi riguarda non perché colpisce la figura pubblica di una persona (non ho una figura pubblica da difendere) quanto perché lo ritengo un insulto sanguinoso. Mi è capitato spesso nelle discussioni sui forum di essere definito antisemita, pur non avendo io mai prodotto alcuna espressione antisemita. Cosa logica del resto, non essendolo. Sono stato definito in questo modo per la libertà intellettuale che mi prendo nel discutere di certi argomenti. Una libertà che spesso travalica quello standard di fatto, quel canone espressivo, che ciascuno sembra essere tenuto a rispettare quando parla di Israele, del sionismo, del conflitto israelo palestinese, dei gruppi di pressione sionisti. Sostanzialmente è per questo motivo che sono intervenuto qui sulla vicenda Bernini, le cui dichiarazioni hanno immediatamente suscitato la consueta levata di scudi ed evocato i soliti sospetti. Lei è solo uno dei tanti che adotta certi metodi, vi sono nel mondo attenti lettori che passano al setaccio ogni comunicazione che abbia la pur minima rilevanza pubblica o che in qualche modo imbocchi i canali comunicativi per controllare che non contenga il minimo segno di antisemitismo. Esistono anche potenti e ben strutturate organizzazzioni specializzate in questa attività. CAMERA ad esempio, o la ADL, ma sono presidiati praticamente tutti i media e tutti i luoghi di confronto pubblico, anche quelli minori, grazie all’opera di volontari che ritengono loro dovere intervenire a correggere chiunque esprima concetti vagamente contrari o, a loro giudizio, troppo critici o troppo liberi nei confronti delle politiche israeliane. Cosa, manco a dirlo, che viene equiparata all’antisemitismo o al sospetto di antisemitismo, così come viene equiparato all’antisemitismo l’antisionismo, secondo la nota equazione alla quale anche lei ha fatto ricorso.
Non dubito che molti, in buonafede, ritengano in questo modo di denunciare i germi di antisemitismo prima che si diffondano. Tuttavia una macroscopica conseguenza di questo metodo è la difesa in ogni luogo e in ogni circostanza del "modello standard", della visione prodotta dai comunicatori sionisti.
Bernini si è espresso in termini forti e diretti, è vero, ma il focus del suo intervento riguarda un fatto oggettivo come le condizioni di vita degli arabi palestinesi nei Territori Occupati: un tema che in Israele viene costantemente sollevato da organizzazioni come B’Teselem, e il suo indicare il sionismo come causa di questo stato di cose avrebbe meritato qualche approfondimento. L’accusa di antisemitismo e la successiva sconfessione arrivata dal suo movimento ha avuto l’effetto di cancellare questo tema. Si è trattato di un effetto non voluto? Io non credo.
Per questo e per tanti altri episodi analoghi sono giunto da tempo alla conclusione che la lotta contro l’antisemitismo non sia altro che un pretesto per difendere ed affermare il "modello standard". Da qui rilevo la compressione del dibattito e la sua polarizzazione, la mancanza di idee per risolvere problemi antichi, la diffidenza tra interlocutori che necessariamente debbono collocarsi in campi contrapposti. Mi scusi ma non vedo come questo possa giovare ad Israele, vedo invece con chiarezza quanto questo possa nuocergli.
Una conseguenza della difesa ad oltranza della versione ufficiale di ciò che riguarda Israele. Israele è uno stato, al suo interno le posizioni riguardo ad ogni questione sono le più varie. Lo sono anche riguardo al che fare per risolvere il conflitto con gli arabi palestinesi e appianare l’inimicizia con il resto della comunità islamica. Ancora oggi, a quanto mi risulta, la maggioranza degli ebrei israeliani è favorevole a scambiare terra contro pace. Una tale maggioranza esiste da sempre in Israele, e Israele è uno stato democratico, tuttavia chi ha tentato di tradurre la volontà della maggioranza in atti di governo ha avuto finora scarsa fortuna. Rabin, Sharon, Olmert: chi per un motivo chi per l’altro sono stati impossibilitati a farlo.
Rabin voleva restituire i territori in cambio di pace, ed è stato ucciso dal solito pazzo isolato (abbastanza pazzo da sposarsi in carcere ed avere un figlio); Sharon voleva procedere unilateralmente: si ritirò da Gaza e fondò Kadima, che ebbe un buon successo elettorale, per sottrarsi ai veti del Likud, ma fu colpito da ictus; Olmert invitò più volte ad abbandonare il sogno della Grande Israele (non si sa bene rivolto a chi) e si avvicinò molto a stringere un accordo, ma fu messo fuori causa da uno strano scandalo proveniente da oltreoceano. Come le ho detto sono diventato diffidente e ho acquisito l’abitudine di incrociare le informazioni: un fatto che appare a prima vista casuale lo valuto anche alla luce dell’ipotesi che casuale non sia.
Sionismo buono e sionismo cattivo. Questo discrimine è forse l’argomento centrale dell’intera questione. Vedo che lei non rileva nessuna differenza tra sionismo risorgimentale e sionismo attuale, e la cosa non mi meraviglia affatto considerando gli sforzi comunicativi che vengono fatti per affermare l’assoluta continuità del sionismo nelle sue due fasi principale. E anche questo è comprensibile se si tiene conto che è proprio grazie a questo che si può accusare di antisemitismo chi si scaglia contro il sionismo attuale. Il processo logico è semplice: se è vero che il sionismo è uno e uno solo; se è vero, come è vero, che lo scopo primario del sionismo è la fondazione di Israele; ne consegue che chi si dichiara antisionista si dichiara contro lo scopo principale del sionismo: cioè la fondazione di Israele. Da qui ad accusare di antisemitismo chi si dice antisionista il passo è breve.
Si comprende quindi l’importanza per l’affermazione del "modello standard" di negare ogni distinzione. Poniamo che il sionismo dopo la fondazione dello stato avesse cambiato nome in "Alleanza Nazionale Ebraica", ad esempio, e che le maggior parte delle forze politiche israeliane e delle organizzazioni ebraiche sparse nel mondo si fossero dichiarate aderenti a questo movimento. Sarebbe stato altrettanto facile far passare l’equazione antisionismo = antisemitismo? Sicuramente no.
Certo, chi intende sostenere l’identità del sionismo attuale con quello delle origini deve affrontare almeno due difficoltà: 1. fondare l’assunto che un movimento ideologico possa conservarsi inalterato passando attraverso 120 anni di storia tumultuosa; 2. ignorare il passaggio fondamentale del movimento: la fondazione dello stato di Israele.
E’ difficile, ma forse non impossibile, sostenere il primo punto; credo sia impossibile sostenere secondo punto. Ed è questo il punto che maggiormente mi interessa per le implicazioni che ha nella realtà attuale.
Cerco di spiegarmi con semplicità. Un movimento di tipo risorgimentale è ovviamente nazionalista, lo è necessariamente essendo il suo scopo quello di fondare uno stato nazionale. Tuttavia il nazionalismo risorgimentale è finalizzato a uno scopo, è a termine, è stumentale alla mobilitazione delle diverse istanze sociali, ideologiche, economiche che andranno a formare la società del nuovo stato, non è il fine in sé del movimento. Normalmente, dopo la fondazione dello stato le diverse componenti della nuova società tornano a dividersi contrapponendosi dialetticamente nei diversi gruppi politico ideologici che formano il corpo sociale e il nazionalismo che le aveva mobilitate torna ad avere il suo ruolo naturale di ispiratore delle ideologie destrorse. Si, perché sono convinto (mi corregga se sbaglio) che il nazionalismo fornisca la materia prima ai movimenti di destra, certamente non a quelli di sinistra.
Se dopo la fondazione il movimento risorgimentale conserva le sue strutture e rimane protagonista della vita pubblica, come è avvenuto col sionismo, lo fa ponendo al centro della sua ispirazione ideologica il nazionalismo come scopo e ispirazione in sé. Cioé diventa un movimento di destra, a prescindere e nonostante ciò che possono credere i suoi aderenti.
Quello che io vedo è proprio questo: il graduale spostamento a destra delle organizzazioni sioniste in patria e fuori. Una metamorfosi che avviene in molti casi per prassi più che per scelta consapevole. Lei, ad esempio, non si offenda, agisce secondo schemi di comportamento puramente nazionalisti con la sua difesa acritica e intransigente di quelle che in genere si definiscono le ragioni di Israele, ma che a mio modo di vedere sono le ragioni di una corrente ideologica che pone l’interesse nazionale sopra ogni altro principio. Poi ciascuno troverà la sua motivazione per abbracciare il nazionalismo: i religiosi andranno a cercarle nelle sacre scritture; i laici le troveranno nella memoria storica delle persecuzioni; altri si innamoreranno della potenza militare della nazione; altri ancora troveranno mille giustificazioni per rifiutare l’incontro e il compromesso col nemico. Di fatto da almeno 40 anni lo status quo rimane uguale a se stesso: dietro ai muri vivono milioni di persone senza diritti civili; due generazioni di israeliani si sono formati nello status di occupanti nei confronti di un altro popolo; si prepara un’altra guerra; si continua a vivere nella precarietà del futuro in mezzo a masse si popolazione ostile; si continua a popolare le colonie restringendo sempre più i margini per arrivare alla pace basata su due stati; i movimenti integralisti sono arrivati al governo e hanno iniziato a permeare le sue strutture. Questo è un bene per Israele? Io non credo. E se il nazionalismo sionista è tra le cause di tutto questo allora sono d’accordo con Bernini: il sionismo è una piaga. E non perché vengono vessati i palestinesi: non ritengo i palestinesi buoni a prescindere
La trattativa. Lei sostiene, come tutti quelli che sostengono il "modello standard", che la causa dello stallo nelle trattative di pace è l’intransigenza / incapacità / malafede della controparte palestinese ed esclude che ad ostacolare efficacemente ogni progresso sia il nazionalismo sionista. Di certo non sarò io a negare certe caratteristiche negative dell’ANP, di certo non si può negare che abbia stupidamente perso delle occasioni. Di volta in volta per l’intransigenza, per il patologico frazionismo che la caratterizza, per la corruzione che l’affligge, per l’incapacità di respingere certe illusioni ispirate da amici interessate. Ma se la pace con quella piccola parte di Umma che rappresenta il popolo palestinese costituisse un obiettivo strategico per Israele quale passaggio necessario per superare l’avversione delle genti arabo islamiche che ha intorno allora l’approccio dovrebbe essere diverso da quello che è sempre stato. Purtroppo il nazionalismo rende impermeabili alle ragioni dell’altro; purtroppo i suoi obiettivi sono sempre molto semplici e finalizzati all’esclusivo interesse nazionale: hanno un orizzonte breve, limitato, portato a considerare solo il proprio ombelico e a dare voce alle viscere piuttosto che alla testa.
Tra ricattati, infiltrati, corrotti, velleitari il popolo palestinese non ha una leadership in grado di giocarsi le sue carte contro un interlocutore strapotente militarmente e appoggiato fortemente a livello diplomatico. E’ un popolo sconfitto che non ha alcuna rilevanza militare, che vive grazie alla carità internazionale, che non ha alcuna speranza di liberarsi da sé dall’occupazione. Ma che ovviamente non si può far scomparire, nemmeno dietro un muro.
Se è interesse di Israele concludere il conflitto, e sono convinto che lo sia, ai deficit della dirigenza palestinese palestinese deve provvedere qualcun altro: la stessa controparte, che dovrebbe rendersi conto di non poter giocare con tutta la sua forza contro un avversario che non si regge in piedi. In breve: sta a Israele imporre delle condizioni eque, accettabili dalla comunità internazionale e dagli stati arabi, non ci sono altre soluzioni a mio avviso. E si torna agli effetti deleteri del nazionalismo che escludono tale approccio e che, sempre a mio avviso, non giovano ad Israele.
Mi sono dilungato troppo, termino con qualche risposta alle sue osservazioni.
Lei dice:
- "equiparare sionismo a nazismo come fa il M5S Piemonte in modo chiaro, esplicito e incontestabile mi pare ben più grave." Si, è grave, ed è l’occasione per far capire che non può esserci nulla di paragonabile tra l’uno e l’altro.
- "Se poi Bernini è stato sconfessato dal suo movimento solo per pura ipocrisia (quindi lei ipotizza che, in realtà, il M5S equipari davvero sionismo a nazismo, ma che lo nasconderebbe per puro tornaconto politico) la cosa mi pare che aggiungerebbe un ulteriore motivo di scandalo." Si tratta di due cose diverse. Una è l’affermazione di una parte del M5S, non so quanto seguita; l’altra, l’ipocrisia, è la risposta al danno politico e di immagine che deriva dall’accusa di antisemitismo. Ne ho parlato sopra.
- "il sionismo si dava l’obiettivo di fondare lo stato degli ebrei. Obiettivo raggiunto con la determinazione ONU del ’48." Uno stato sovrano si legittima innanzitutto da sé, a mio parere, ma visto che, giustamente, si cita la determinazione ONU del 48 come fonte di legittimità per lo stato di Israele allora si deve riconoscere altrettanta autorità alle risoluzioni dello stesso ONU riguardo alla linea verde, alla proibizione di stabilire colonie sul territorio occupato, al loro status giuridico, non crede?
- "E quelli come Hamas (che pure ha vinto le ultime elezioni) che rifiutano l’esistenza di Israele come vanno considerati, resistenti o dementi ? Può esserci un accordo di pace con chi ti ritiene "un’entità da porre nel nulla" (dalla carta fondativa di Hamas)?" Hamas è chiusa dentro Gaza e non ha alcun potere militare rilevante. A proposito delle roboanti dichiarazioni contenute nel suo statuto che Hamas, da leggere alla luce della sua debolezza militare e politica, immediatamente dopo la (prevedibile) vittoria elettorale offrì "una lunga tregua" a Israele.
Ricorda come andò a finire?
- "come valutare il caso di Hebron in Cisgiordania da cui l’antica comunità ebraica fu cacciata in un pogrom di pulizia etnica commesso da arabi nazionalisti nel 1929 ? i coloni ebrei che ora ci vivono cosa sono, occupanti o legittimi abitanti di quella città tornati a viverci dopo quarant’anni dall’espulsione?" La pulizia etnica è sempre un crimine, come ogni azione condotta contro la popolazione inerme, ovviamente. Quanto all’oggi la domada è: gli attuali abitanti di Hebron sono gli stessi che ne furono cacciati? In tal caso direi che sono nel loro buon diritto, nel caso in cui invece fossero ritenuti legittimi occupanti in quanto ebrei che hanno preso il posto di quelli cacciati le cose si complicherebbero alquanto. Dal mio punto di vista, infatti, non esiste alcun diritto di possesso della terra legato all’essere ebrei. Per lei si?
- "La Bibbia: se Netanyahu ha detto che "bisognerà rinunciare a dei territori..." vuol dire che non prende come dato irrinunciabile né la (poco sostenibile) tradizione storica di duemila anni fa né il "dettato divino" che si può tranquillamente mettere da parte." Ma per ora non si è vista nessuna concreta dimostrazione nel senso della rinuncia. Si è invece vista la sua concreta negazione con l’annuncio della costruzione di 1.200 nuovi alloggi per i coloni. Bastassero le dichiarazioni non staremmo qui a discutere della risoluzione del conflitto.
- "Insomma io ritengo che buona parte (non ho detto "tutto"!) dell’attuale stallo derivi dal gioco delle parti tra Fatah e Hamas che fanno come il carabiniere buono e quello cattivo.". Alla spaccatura tra Hamas e Fatah, che rende ulteriormente difficile arrivare ad un accordo di pace, non sono estranei né Israele né i servizi americani. Ricorderà che dopo l’insediamento del parlamento palestinese e del governo guidato da Hamas, che peraltro vedeva la presenza anche di ministri "laici", dopo aver consentito la sua partecipazione alle elezioni, le autorità israeliane presero ad arrestare ministri e parlamentari di quella organizzazione con la motivazione che si trattava di una organizzazione terrorista. A Fatah vennero fornite armi per combatterla e Dahlan, personaggio notoriamente contiguo alla CIA, fece il suo tentativo di rovesciamento a Gaza, scappando poi in Egitto. C’è stato assai poco di spontaneo nella spaccatura del fronte palestinese che ora lei mette tra le cause ostative ai colloqui. Era una conseguenza prevedibile, ma così è stato fatto.
Ultima osservazione, forse la più pesante. Non le sarà sfuggito che gli USA stanno tentando di dislocare le loro non più abbondantissime risorse verso il quadrante Asia-Pacifico per contrastare l’avanzata del loro nuovo avversario economico politico: la Cina. I segnali della volontà americana di disimpegnarsi dall’area mediorientale ci sono stati, e sono stati molto chiari.
In questa prospettiva di probabile cambiamento negli equilibri geostrategici va inquadrato anche il futuro di Israele, che all’appoggio statunitense deve molte delle sue sicurezze. Lei pensa che una mentalità nazionalista, cioé sionista, che ora coltiva alacremente il progetto di una guerra contro l’Iran, sappia gestire al meglio il futuro di Israele? Io credo di no.
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