Io non sono
ne’ uno studioso ne’ un
frequentatore di Cina o paesi arabi, cmqe credo che vadano distinti i problemi
di disagio economico da quelli di disagio politico.
Ai cinesi poco importa se la Cina e’ la seconda o la terza o la prima economia del mondo,
importa molto di piu’ quale sia il loro tenore di vita, che dipende dal reddito
medio, dalla distribuzione della ricchezza e dal costo della vita, e comunque oggi
e’ certamente un tenore di vita basso, ma piu’ alto che in passato.
Il fatto che il costo della vita stia diventando troppo alto
rispetto ai salari e’ un problema di facile soluzione dal punto di vista
economico: basta aumentare i salari; i margini economici ci sono, c’e’ pero’ un
problema politico perche’ chi detiene il potere economico dovrebbe ridurre i
suoi enormi profitti sia per la redistribuzione del profitto sia per il probabile
calo di competitivita’ delle sue merci.
Credo che ci sia una situazione simile in alcuni paesi arabi
in cui la poverta’ della popolazione sarebbe facilmente risolvibile
redistribuendo l’enorme ricchezza proveniente dal petrolio.
Ma nel caso della Tunisia come dell’Egitto c’era poco da
redistribuire, e la rivolta era piu’ tesa alla conquista di diritti che alla
redistribuzione. E
cosi’ anche a piazza Tien Ammen.
In Europa, dopo la rivoluzione francese, le monarchie
assolute han dovuto e saputo evolversi in monarchie costituzionali e poi in
stati formalmente democratici, ma i dittatori arabi pare che non siano mai
capaci di alcuna evoluzione.
In Cina poi, una pacifica evoluzione democratica e’ quasi
impensabile: lo stato cinese e’ sempre stato un impero centralizzato e
l’insorgere di rivendicazioni democratiche porterebbe inevitabilmente alla
spaccatura, sia perche’ il potere si arroccherebbe la’ dove puo’ conservarsi,
sia perche’ uno stato con oltre un miliardo di cittadini che si autogovernino
democraticamente non si e’ mai visto, ed e’ anche difficile il solo
immaginarlo.
Geri Steve