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Il Risorgimento screditato

Di geronimo54 (---.---.---.8) 12 febbraio 2011 08:33
geronimo54

Caro Antonio, Pompei non va certo in pezzi per colpa dei bersaglieri ma, mentre i Borboni ne avevano iniziato e finanziato gli scavi ed il recupero (di tasca loro), il governo italiano l’ha abbandonata all’incuria e, senza voler aprire una polemica politica, devo ricordare che il governatore del Veneto ha recentemente definito una domus pompeiana "...quattro sassi".
Riconosco del vero negli scritti degli autori che citi, ma non si può dimenticare che c’è del vero anche in quello che scrivono altri autori come Pino Aprile che, non avrà lo spessore ed il carisma di Croce o di Nitti, ma cita pur sempre dati e fatti precisi.
Non è che il Regno delle Due Sicilie fosse il paradiso in terra, ma è pur vero che nel 1860 i 4/5 dell’oro circolante in Italia erano lì e la convertibilità della moneta borbonica era piena perché battuta in oro o argento. Negli stessi anni il Regno di Sardegna era sull’orlo della bancarotta. "Prima del 1860, al sud era più grande ricchezza che in quasi tutte le regioni del nord" (F.S. Nitti).
Il Regno delle Due Sicilie aveva i cantieri navali più importanti del Mediterraneo e la sua flotta mercantile era seconda, per tonnellaggio, solo a quella inglese. Fino al 1860, se c’era un ritardo tecnologico era nel Regno di Sardegna, perché al sud veniva inaugurata la prima ferrovia italiana e lo stabilimento siderurgico di Mongiana (sulle Serre calabresi) riceveva riconoscimenti e premi internazionali per la qualità della sua produzione. A San Leucio (vicino Caserta) c’era uno stabilimento tessile che non aveva eguali in Italia e che venne smantellato dagli italiani all’indomani dell’unificazione; stessa sorte toccò allo stabilimento di Mongiana e ad un identico destino vennero condannate altre attività (come la cantieristica navale e la meccanica di precisione) per il totale conferimento al nord delle commesse da parte dei nuovi governanti.
Per quanto riguarda l’agricoltura c’è da osservare che al sud non c’era solo produzione cerealicola, ma c’era anche un’agricoltura specializzata i cui prodotti venivano per la maggior parte esportati, ma non al nord che non poteva permetterseli e che, seppur favorita da politiche protezionistiche, portava ricchezza a quelle terre. Tutto finito dopo l’unità d’Italia. E riguardo alla realizzazione di infrastrutture economiche per il mezzogiorno, stenderei un velo pietoso, pensando che , ancora oggi, Matera è l’unico capoluogo di provincia non collegato alla rete ferroviaria (se qualcuno a Matera vi da appuntamento davanti alla stazione, sappiate che vi sta prendendo in giro).
E l’unificazione non avvenne con plebiscito popolare, ma venne imposta con le baionette. Il fenomeno del brigantaggio meridionale, soprattutto le sue origini, è estremamente complesso, ma prima (dell’unificazione) c’erano solo i briganti; il brigantaggio è venuto dopo. E, in ogni caso, che c’entravano le popolazioni civili se si prende per buona la tesi che la popolazione fosse dalla parte dei "liberatori"? Ci sono stati interi paesi messi a ferro e fuoco nel meridione: stupri, saccheggi, fucilazioni in massa, profughi. E non furono cose da poco se Garibaldi stesso ebbe a scrivere alcuni anni dopo "gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio".
In una lettera a Pasquale Villari, Giustino Fortunato (convinto unitarista) si lascia andare ad uno sfogo riguardo all’unificazione d’Italia "... E’ stata, purtroppo, la nostra rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico, sano e profittevole. L’Unità ci ha perduti".


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