Ieri sono stato ad Arcore. Bella giornata, molto calda, per esser febbraio. Molta gente, colori, ironia, spesso sarcasmo.
Un’aria
strana, stratificata. Molta energia, molte voci, molta rabbia. Certo,
le dichiarazioni erano spesso nonviolente, anzi. Dal palco molte volte
si è dichiarato la volontà e il bisogno di mantenere il livello dello
scontro in termini pacifici. Ma c’era un altro sentire tra le righe.
Non
in tutti, certo, ma specie nei più giovani, la rabbia era presente. Una
rabbia sorda, la stessa rabbia del 14 dicembre, quella che era
scoppiata a Roma.
Una rabbia che ho già sentito dagli studenti, dai ricercatori. Quella che cresce quando non ci sono alternative.
Quella
che tiprende quando vedi che il burrone è sempre più vicino e non si
riesce a invertire la marcia, a frenare prima di cadere nello
strapiombo.
Quella
che hai quando non trovi lavoro e non sai più come mantenere i figli.
Quella che ti prende di fronte a imbecilli raccomandati, strizzati in
abiti alla moda, dietro occhiali che valgono quanto due o tre dei tuoi
stipendi da precario.
Quella che vedi arrivare da piazze di paesi lontani, ma che hanno trovato forza e coraggio di urlare la loro ribellione.
Non
ho visto gruppi organizzati. Mi spiace per chi cerca i nemici da
additare, ma non c’erano organizzazioni o strutture ad occupare la
piazza.
Ho
visto solo che l’incazzatura cresce e che se non si trova una via
d’uscita da questa pornorepubblica arcoreana, prima o poi esplode.
Forse
è nichilismo, forse è mancanza di speranza, ma siamo sull’orlo del
vulcano. e giù la lava si vede, guardando nel cratere. Già l’odore
dello zolfo brucia nelle nari di molti, nelle vene di tanti. Non si può
uccidere la speranza di vita senza che questo non provochi una reazione.
E
su questo devono riflettere tutti. Certo, il Sultano è il despota di
oggi, ma il vero problema è che non c’è nessuno che stia cercando di
trovare una risposta per i nostri figli.
Paghiamo
il fatto di essere un paese di vecchi, ripiegati sui propri interessi,
senza più un progetto credibile. Oramai siamo oltre al si salvi chi
può, pieni di fica e di suv, di cellulari e di grandi fratelli.
Ora
possiamo, come ha fatto il presidente Napolitano, strillare
scandalizzati di fronte alle violenze della piazza. Possiamo chiedere
sentenze esemplari per i colpevoli di cotanto spregio delle regole
democratiche (francamente le cose successe sono molto più lievi di
quanto i media hanno pompato), ma chiederei a questi solenni censori:
come
fate voi a dire queste cose, quando i responsabili di Genova stanno
ancora nelle "forze dell’ordine" anzi sono stati promossi? Andatevene,
fatevi da parte, lasciate che i giovani possano avere la loro
possibilità.
Sbagliando, magari, ma ridategli la speranza di poter essere protagonisti del loro futiro. Adesso!
saturninox