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La disgrazia giuridica. L’esempio napoletano della prova scritta per l’esame d’avvocato

Di Marco Bozza (---.---.---.5) 26 dicembre 2010 18:14

Leggo con particolare attenzione quanto segue al mio articolo, e mi fa piacere che si sia animato un dibattito costruttivo. Tuttavia, c’è da scindere nettamente la status pietoso in cui versa la giustizia dalla possibilità di diventare un operatore del comparto giudiziario, quale la figura dell’avvocato. Sono davvero sotto gli occhi di tutti le difficoltà nel trovare lavoro, e per i laureati in giurisprudenza, molto spesso l’avvocatura rappresenta davvero l’ultima spiaggia, dopo aver inviato curricula a iosa tentando altre strade. In questo modo, si va ad ingolfare pazzescamente la carriera forense. Infatti, capita molto spesso che chi davvero vuole indossare la toga, vede soffiarsi l’abilitazione da chi magari è totalmente disinteressato. E’ un meccanismo perverso che è dato dalla scarsa capacità di sapere regolare il delicato passaggio università-mercato del lavoro. L’università odierna è un po’ come una diga senza controllo, sforna laureati a raffica i quali non sanno poi dove sbattere la testa. Se solo si scardinassero i monopoli, le caste, i poteri forti, se solo si desse più spazio alla concorrenza, anche l’Italia potrebbe recuperare in termini di virtuosismo occupazionale, altrimenti continuerà ad affondare in una dimensione dannatamente retriva. Per quanto riguarda la lentezza giudiziaria, non si profila davvero nulla di buono, se si considera il progetto di riforma balentante nella mente di chi detiene lo scettro del potere.


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