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Se non son matti non li vogliamo: il disagio del docente diventa malattia

Di (---.---.---.87) 9 agosto 2010 14:08

Leggendo l’articolo della professoressa Panté mi sono sentita chiamata in causa in quanto studentessa di psicologia di analisi e intervento nel lavoro che ha molto a cuore la sindrome da burnout.
In Italia (come al solito) non siamo preparati ad accogliere certe patologie che tendiamo a sottostimare e il rischio più grave è che si inizierà ad intervenire quando il problema sarà così diffuso da non essere arginabile, quando avremo sfornato generazioni di studenti ignoranti sia sotto l’aspetto della cultura che sotto l’aspetto dell’educazione.

In una società in continua evoluzione come la nostra, dove i punti di riferimento vacillano di continuo e i nostri valori vengono minati alle fondamenta non possiamo permetterci di rimandare a domani, di demandare ad altri la responsabilità di gestire i nuovi problemi.

Oggi, i professori (oltre agli impegni istituzionali) si ritrovano a dover letteralmente combattere con orde di adolescenti che stanno diventando sempre più ignoranti (concedetemi di chiamarli "analfabeti di ritorno") , che snobbano la scuola e tutto ciò che potrebbe ampliare le loro menti trovandone un motivo d’orgoglio.

D’altro canto, certi genitori preferiscono giustificare il proprio figlio, preferiscono concedere piuttosto che negare convinti che sia importante renderli felici (temporaneamente e superficialmente) nell’immediato piuttosto che guardare più in là del proprio naso e capire che a volte i "no" fanno crescere più dei "sì".
Per ottenere veri risultati bisogna essere coerenti a casa e a scuola nell’insegnamento dei valori, nei divieti e nei permessi. L’incoerenza porta solo perdita di autorità per il docente come per il genitore. Bisogna, dunque, congiungere le forze per ottenere un risultato e risolvere il problema alla radice.

Concludo il mio lunghissimo commento (chiedo venia) dicendo che spero che questi docenti appassionati e amanti dei giovani e dell’insegnamento non scompaiano mai perché sarà proprio allora che potremmo dire addio a qualsiasi presa di coscienza futura essendo la scuola il trampolino di lancio della mente verso il mondo esterno. Auguriamoci, dunque, che questi pochi valorosi non facciano la fine di Winston Smith di "1984"...

Elisa


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