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Utile l’intesa tra Italia e Libia ma per contrastare l’immigrazione servono altre soluzioni

L’accordo negoziale fra il nostro Paese e la Libia, sottoscritto dopo lunghe e non facili trattative dai rispettivi leader Berlusconi e Gheddafi, va, a mio parere, visto in chiave decisamente positiva.
 
Difatti, è stata posta la parola fine ad una pluridecennale vertenza internazionale, consistente nella rivendicazione, da parte della Jamahiriya, di un ingente risarcimento a fronte dei danni, materiali e morali, compresi i patimenti e le sofferenze inflitti alla popolazione, che le sarebbero stati da noi arrecati durante la dominazione coloniale.
 
E’ vero che l’Italia si è impegnata a finanziare opere di pubblica utilità per 5 miliardi di dollari, ma, in proposito, mette conto di sottolineare che:
- l’esborso è diluito in un considerevole arco di tempo, vale a dire venti anni;
- le imprese italiane che saranno chiamate ad eseguire i lavori trarranno sicuramente congrui margini d’utile;
- nel corso di ben quattro lustri, solamente i minori costi di trasporto delle nostre importazioni di greggio e di gas da un’area molto più vicina rispetto ad altre abituali zone di approvvigionamento, basteranno a compensare, se non totalmente, almeno in parte, i 5 miliardi di dollari previsti dalle recenti intese.
 
Al contrario, il mio pensiero è che, dai patti, non potrà scaturire alcun sostanziale e definitivo giovamento riguardo alla grave e pesantissima emergenza dell’immigrazione clandestina.


Sì, è vero, più agevole coordinamento tra forze dell’ordine libiche e italiane, controllo delle coste, respingimenti, tutto ciò che si vuole, ma si tratterà di palliativi. La realtà, triste, cruda e difficilmente arginabile, è purtroppo fatta da centinaia di migliaia d’extracomunitari disperati, che continueranno a tentare ogni via pur di mettere piede sul territorio europeo – da loro considerato il paradiso di Bengodi – di cui le nostre isole mediterranee e/o gli approdi delle regioni meridionali costituiscono il naturale avamposto.
 
E dove le mettiamo, poi, le fameliche orde di affaristi e trafficanti di vite umane, veri e propri Caronte del male, che traggono profitti nell’ordine di centinaia di milioni, forse di miliardi? Chi mai riuscirà ad indurli a rinunciare al loro immondo business? Dunque, una cosa è certa, il problema – sarebbe più giusto parlare di tragedia – non è né italiano, né di questo o di quel singolo paese, ma ha ricadute allargate, deve riguardare l’intera Europa.
 
Un modo per cercare di affrontarlo ed assorbirlo, avendo peraltro la consapevolezza della sua valenza epocale, nel senso che si trascinerà a lungo, sarebbe perciò, ad esempio, di finanziare e allestire, mediante risorse comunitarie, sia sotto l’aspetto finanziario, sia in uomini e mezzi, un’apposita struttura di rango U.E. adeguata ed efficiente, da dislocarsi, per opportunità geografica, nel basso Mediterraneo, e però impostata con innumerevoli canalizzazioni logistiche, tanto come assistenza immediata, quanto come sistemazione definitiva degli immigrati, verso qualsivoglia Nazione dove, a questi eserciti di miserabili, possa esser dato di trovare un futuro.
 

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