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Un Governo per il sud

L’economista Giorgio Ruffolo, socialista ed ex ministro dell’Ambiente a cavallo tra gli anni ottanta e novanta, osservatore e uomo attento alle cose italiane, ha mandato in stampa, pubblicato da Einaudi, il suo ultimo saggio, dal suggestivo titolo "Un paese troppo lungo".
 
L’idea di fondo - quasi una scommessa per il futuro, ma allo stesso tempo un corposo suggerimento per l’opposizione politica italiana, nel momento in cui, come a lui pare, siamo al crepuscolo del berlusconismo- è che l’unica strada per uscire dalla decomposizione dell’Italia, unificata, ma mai davvero unita, sia quella di un’Italia veramente federalista, con un forte governo del Sud.
 
La "decomposizione territoriale dell’Italia" , come la intende Ruffolo, è quella per la quale "il Nord somigli a un Belgio grasso... e il Sud a una colonia mafiosa". Si tratta di un pericolo, a suo dire, neanche tanto immaginario, che la sinistra italiana non annusa, ma che è nell’aria.
 
Della questione meridionale, ormai, dice Ruffolo, non si interessa più nessuno, né destra, né sinistra. Eppure per la sinistra sarebbe una grande opportunità "per riacquistare l’iniziativa politica perduta". Si tratta "di mettere in campo un nuovo soggetto: un vero e proprio Stato federale del Mezzogiorno... saldamente ancorato ad una costituzione nazionale autenticamente federalista".
 
L’idea di Ruffolo, (anche se egli stesso ammette non essere nuova, padri nobili ne sarebbero il campano Guido Dorso e il pugliese Gaetano Salvemini), per quanto suggestiva sia, sembrerebbe, a parere di chi scrive, più adatta alla "terra degli angeli" che al Sud Italia. E ciò per una serie di motivi.
 
Anzitutto, il Sud, come lo stesso Ruffolo ammette, è dominato dalle mafie.Queste succhiano il sangue al sistema produttivo ed esprimono, come lo stesso Ruffolo sa bene "quella borghesia mafiosa" che ingrassa "nello scambio tra il voto elettorale che essa garantisce al governo centrale e le risorse finanziarie che riceve tramite quello". E allora questa mafia come la si schioda dal suo scranno?
 
Questa mafia, peraltro, non si limita a stare distante dai palazzi del potere, sia locali che centrali, ma li occupa con pertinace attaccamento, e dal di dentro gestisce le risorse pubbliche che convoglia verso l’economia mafiosa con opere pubbliche inutili e spesso ecologicamente insostenibili.
 
Poi, l’"homo meridionalis" è tendenzialmente anarchico per (in)cultura e bisognoso di un padrino per necessità. Nel Sud esiste quella che potremmo definire "la mentalità del favore" che è mentalità mafiosa. Un posto in ospedale, un certificato, una fila alla posta da evitare, una multa da cancellare, sono tipici della mentalità meridionale tradizionale. "Conosco Tizio o Caio per un favore" è pensiero comune.
Non certo i giovani, o le persone più attempate di cultura (da non confondere con l’istruzione, il titolo di studio), ma tutti gli altri sì.
 
E allora come conciliare un Sud "sotto il controllo di un’assemblea democratica che costituisca la matrice di una nuova classe dirigente meridionale" con la dura realtà meridionale? Ma l’ottimo Ruffolo ha mai visto come si cercano e si ottengono voti nei comuni del Sud d’Italia?
 
Nel comune dove risiedo, sono vent’anni che un politico locale, che ha girato per tutti i partiti e per tutte le coalizioni, continua a mietere consensi promettendo favori.
Ricorda l’ex ministro che, in Sicilia, nel 2001 tutti i collegi di Camera e Senato andarono alla stessa coalizione?
 
Il Sud è e sarà sempre una causa persa per la democrazia e il rinnovamento di questo Paese fintantoché non cambierà la mentalità "mafiosa" che lo caratterizza.
I meridionali, noi meridionali (ma in verità un po’ tutti gli italiani) dobbiamo capire che il politico potente, in realtà è un nostro dipendente, che noi elettori abbiamo il potere di mandare a casa quando vogliamo e non siamo noi a dipendere dalla sua benevolenza e dalle sue segnalazioni (Mastella docet!).
 
Quando ci saremo liberati di questa classe politica (che è trasversale agli schieramenti) parassita e che, elargendo favori ci tiene al guinzaglio, allora forse riprenderemo nelle nostre mani il nostro destino di Cittadinanza.
 
Ma per farlo dobbiamo credere nei nostri diritti e nei nostri doveri, nell’eguaglianza, nella libertà di ciascuno, nella solidarietà sociale. In una sola parola nella Legge, a cui tutti siamo sottoposti, ma a cui molti tentato, con tutte le loro forze, di sfuggire, anche con piccoli gesti "criminosi". Quasi che la Legge fosse un vincolo insopportabile.
 
Quando capiremo che la vera rivoluzione civile di questo Paese sta nella signoria della Legge, allora saremo in grado di liberarci dalle mafie. E non ci sarà bisogno di alcuna riforma, perchè la riforma sarà più profonda e condivisa, un patrimonio conume a disposizione di tutti.
 
Credits Foto: Teatro Stabile di Torino

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