• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tempo Libero > Recensioni > Un dramma familiare

Un dramma familiare

"Il gioco dei regni" di Clara Sereni.

 

Se il “Lessico famigliare” di Natalia Ginzuburg e il “Giardino dei Finzi Contini” di Bassani coinvolgono per gli avvenimenti dell’ultima guerra patiti da predestinate famiglie borghesi ebree, il romanzo di Clara Sereni si evidenzia per lo scorcio epocale più ampio, che ci restituisce se non l’atmosfera (poiché si è del parere che certe situazioni bisogna viverle di persona) certamente la determinazione e la caparbietà che uomini del tempo assumevano nel condurre ciecamente i loro ideali. Sono, questi, ideali diversi, a volte di politiche che vanno insinuando il sospetto, che favoriscono disgregazioni nelle famiglie, che annientano qui il pensiero moderato, là l’anima stessa di un individuo altrimenti pacifico, dove nemmeno i nomi resistono all’intolleranza ideologica.
 
Ma è la tecnica narrativa, il ritmo che si aiuta a volte con gli spazi bianchi della pagina, a intrigare ne “Il gioco dei regni”, per la scansione diversa dei paragrafi, per la poesia che in zone predestinate traspare larga. Il libro di Clara Sereni è strutturato in modo che il lettore, leggendo, sia accompagnato con dolcezza nei meandri di due vicende familiari a sé stanti. Vicende spesso narrate dalla stessa mano dei protagonisti, tramite lettere autentiche che Clara Sereni inserisce con garbo, preoccupandosi di dare un’unità al ritmo; vicende che si esplicano separatamente ma con uguale densità conflittuale fra i personaggi; vicende che si consumano in dramma.
 
Da una parte la storia della classica famiglia borghese ebrea nell’era antefascista, con l’eterna necessità di conservare la sua identità di popolo, in nome delle radici che debbono attecchire assolutamente da qualche parte; e quella del sionismo ha questa urgenza. Un’urgenza, per i Sereni, tranne che per uno dei tre fratelli: Mimmo, che sposa la causa comunista. Quindi il fratello contro il fratello, per una lotta ideologica, intellettuale, nonostante l’affetto consolidato fra loro, che rimane fino alla fine.
 
È una storia strana a primeggiare nelle prime pagine: quella dei tre fratelli Sereni fanciulli, che imitano i grandi, che consultano vocabolari, che fanno strani giochi, seguiti dall’occhio attento di una madre che teme, forse già presagendo, la divisione tra loro. Quei tre fratelli troppo simili e con un’unica esigenza: di farsi ad ogni costo diversi. Era, quel loro gioco, “Il gioco dei regni”.
 
Dall’altra parte, una madre e una figlia: un conflitto. Alla genitrice, proiettata nella causa ebrea che era stata del marito, poco importa la povertà, poco importano le difficoltà della figlia, che deve accettare suo malgrado le restrizioni di una vita di stenti, di una vita disordinata. Di questa donna, la madre, che tiene chiuse le finestre per conservare l’odore del bortsch proveniente dal vicino di casa, una donna che sta attenta alla biancheria dai fili stesi da una parte all’altra della stanza, alle sedie con le molle rotte che l’imbottitura non trattiene più, una donna che sciogliendosi la corona di trecce per darsi sollievo, si sente più invecchiata, si sente in disordine, più fragile. Una donna di cultura che pensa di spendere gli ultimi soldi per un regalo alla figlia: un libro, oppure un nastro per abbellirle l’unico vestito. Ma è anche la madre che vede la figlia come un moscone il cui ronzio dei movimenti non smette solo un il gesto di una mano. Qui vediamo esplicarsi un deserto ideologico dentro personalità apparentemente forti, ottusamente forti: come quella della figlia che, da vittima, diventa carnefice, in nome di quel comunismo più efferato. Non ci sarà più posto nella sua vita per quella madre sionista; nessuna pietà nemmeno davanti alla morte.
 
Due famiglie, quindi: due storie, contrasti simili. E, quando la figlia vittima incontra l’ebreo comunista e ne sposa la causa ideologica oltre che sposare lui medesimo, solo allora la storia si mantiene unitaria. Ma stilisticamente, come detto, è il ritmo a conferire unitarietà al romanzo, nonostante le molte lettere autentiche scritte dalla mano dei personaggi protagonisti si intervallino con la scrittura della Sereni, che ha avuto l’intuizione di non stravolgere la scrittura di quelli, limitandosi ad assecondarne la scansione, il tempo. Esce fuori un romanzo corale, poetico e struggente, laddove la tensione del dramma sorprende e annichilisce il lettore.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares