• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Cultura > Traiettorie sociologiche: Gita al faro di Virginia Woolf

Traiettorie sociologiche: Gita al faro di Virginia Woolf

 
Nel romanzo Gita al faro è racchiusa gran parte della storia morale e letteraria dell’Occidente. Le meditazioni dei personaggi, nonostante il loro legame con l’occasione concreta, sono la proiezione delle eterne domande che assillano ogni uomo: cos’è la realtà? A che serve la vita? Come possono un uomo e una donna vivere insieme? Che cosa vedono e sentono le donne che gli uomini non riescono a capire?
 
Così scrive David Denby, in Grandi libri (1999, pag. 612).
Il romanzo di cui scrive, Gita al faro di Virginia Woolf, è stato pubblicato la prima volta nel 1927. È diviso in tre capitoli, ognuno dei quali marca il trascorrere del tempo: “La finestra”, “Il tempo passa”, “Il faro”.
 
Virginia Woolf è stata un’intellettuale estremamente sensibile alla condizione della donna, e ha vissuto, nonostante i privilegi dell’essere nata in una famiglia agiata, le discriminazioni di un mondo maschile. Ha scritto testi anche più esplicitamente attenti alla questione femminile, come Una stanza tutta per sé (2000) e Le tre ghinee (1992), ma fu proprio attraverso la scelta di una prosa basata sul monologo interiore che si oppose ai modelli maschili di romanzo.
 
Virginia Woolf prese piena coscienza che il suo talento era femminile, lirico e poetico, e riuscì a trasformare la “diversità” da negativa in positiva, da condanna in rivalsa, divenne scrittrice donna in un mondo di uomini riuscendo a imporsi con le sue parole e con il suo metodo.
 
Nel primo capitolo conosciamo la famiglia Ramsay. I coniugi Ramsay e gli otto figli hanno una casa nelle isole Ebridi nella quale trascorrono le vacanze in compagnia di alcuni amici e colleghi.
 
Il romanzo si apre con il desiderio di James, il figlio più piccolo, di poter fare un’escursione, il giorno seguente, al faro.
 
Il suo entusiasmo viene subito smorzato dal padre che in maniera brusca avverte il piccolo che ci sarà cattivo tempo l’indomani.
 
Solamente la signora Ramsay prova ad addolcire la notizia, lasciando aperta la porta della speranza. Questo episodio creerà tensioni tra i coniugi Ramsay.
Intanto si sviluppano le vicende degli altri abitanti della casa: Lily Briscoe, una pittrice in grossa difficoltà interiore nel partorire il suo quadro, che nutre forti dubbi verso la sua arte e la sua vita; a farle spesso compagnia vi è il vecchio vedovo William Bankes con il quale esiste un’intesa profonda; Charles Tansley, un giovane allievo di Ramsay, mal sopportato dai figli dei Ramsay; sullo sfondo, si svolgela storia tra Minta e Paul e le varie vicende dei restanti figli della coppia.
 
Nella prima parte del libro prevale il punto di vista della madre, e il suo tentativo di ridurre le distanze tra i vari personaggi, lo spazio è quasi totalmente quello interiore, anche i gesti si mostrano nel loro aspetto sentimentale.
 
Il secondo capitolo è ambientato in una Inghilterra che ha già combattuto la Prima Guerra Mondiale. La signora Ramsay è morta, Prue è morta di parto, Andrew è morto in guerra. Il signor Ramsay senza la moglie è alla deriva.
 
“La casa dei Ramsay, assediata dal tempo e dall’indifferenza di Dio, sembra rappresentare la civiltà europea, che crolla, marcisce e va in pezzi.” (ibidem, pag. 607)
 
Nel capitolo finale del libro alcuni dei membri della famiglia Ramsay tornano alla loro casa delle vacanze di dieci anni prima. Il signor Ramsay progetta la gita al faro con la figlia Camilla e il figlio James che da piccolissimo desiderava questa gita più di ogni altra cosa al mondo. I due figli, ormai diventati ragazzi, durante la navigazione sopportano pazientemente il padre mentre legge spiegazioni sul faro. Al faro dunque si arriva, e come tutte le mete agognate e finalmente raggiunte, esso appare deludente, una torre nera e nuda su un’isola a forma di foglia che è nient’altro che un’isola.
Nel romanzo la trama appare confusa, a prevalere sono i flussi di coscienza dei personaggi, ogni cosa è descritta dal di dentro.
Virginia Woolf con la sua scrittura contribuì in modo sostanziale alla sperimentazione e alla trasformazione del romanzo. Seguendo il lavoro che avevano compiuto Joyce, Proust e Sterne, Virginia Woolf abbandonò la tecnica di narrazione tradizionale, per delinearne una moderna che lei stessa descrisse nel suo Diary (1979) il 26 gennaio 1920.
Eliminando il dialogo diretto e la trama tradizionale, la Woolf diresse la sua attenzione al monologo interiore e all’intreccio contemporaneo dei flussi di coscienza fra i personaggi. La realtà esterna perse la sua funzione privilegiata. La narrazione, seguendo i processi della mente, proseguiva seguendo spostamenti avanti e indietro nel tempo in relazione ai pensieri e ai ricordi dei personaggi. Scrive Romano Luperini:
 
Cambia il concetto di destino. Quello dell’individuo non sta più in una vicenda oggettiva, in una traiettoria sociale, in un processo di formazione che possa concludersi con un matrimonio o con il successo di una carriera, bensì nel riconoscimento di una spinta solo interiore, del valore subliminale di un’esperienza, o addirittura della segreta alleanza fra caso, corpo e pulsioni inconsce. Il destino insomma si privatizza. Il momento pubblico e ideologico perde gran parte del suo precedente rilievo. Si afferma, a partire dalla grande lezione di Proust, una cultura della vita privata che privilegia emozioni, sensazioni segrete, sussulti della memoria involontaria. Con Proust, Musil, Joyce, Svevo nasce una nuova antropologia, per cui il desiderio, il corpo, il sogno possono avere la stessa dignità della volontà e della scelta consapevole, la vita notturna diventare più importante di quella diurna.(Luperini, 2007)
 
Ancora, di nuovo Denby:
 
Nell’era moderna siamo tutti consapevoli di una terribile realtà: non esiste una natura comune all’umanità intera, né una prospettiva universale, né una coscienza che ci comprenda tutti. Siamo tutti intrappolati in noi stessi, nella nostra parzialità. (Denby, pag. 604)
 
In letteratura questa frammentazione viene espressa attraverso la scomparsa del narratore onnisciente. La storia, lungi dal privilegiare un unico punto di vista, percorre molteplici strade che ci aprono ai sentimenti dei vari personaggi.
 
Tuttavia, nonostante la nostra solitudine, esistono timidi tentativi di intrecciare un contatto. Dopo lunghe meditazioni e considerazioni, la signora Ramsay, a cena, esclama: “Sì […] ce n’è ancora per tutti.” Non dice altro, eppure, è meravigliosa. Con la sua presenza e la forza dei pensieri che le fluiscono dalla mente, vince ogni individualismo: spinge gli altri personaggi a scoprirsi e ad avvicinarsi, anche se solo per un attimo. (ibidem)
 
Come scrisse la stessa Virginia Woolf, la signora Ramsay crea una pausa momentanea contro la confusione. (ibidem, pag. 603)
Nel libro non ci sono fatti, ma pensieri,
 
… l’unico fatto di Gita al faro: è il modo di essere al mondo della signora Ramsay, il suo esserci per il mondo e per gli altri è caratterizzato, quasi dominato dalla sua bellezza. (Coppola, 1996, pag. 73)
 
Il tema della bellezza domina tutta la prima parte del libro, la bellezza della signora Ramsay dà piacere e rallegra.
Questa bellezza non è chiusa e immobile, non è la bellezza di una statua, essa è viva, trasforma, agisce sul mondo e sugli altri.
 
Nulla avrebbe fatto allontanare Ramsay. Eccolo là, fermo, a esigere simpatia.
La signora Ramsay, che fino a quel momento era stata seduta e rilassata, stringendo il figlio tra le braccia, radunò tutte le sue forze, e girandosi a metà, sembrò come raddrizzarsi con uno sforzo, e subito eretta, riversare nell’aria, una pioggia d’energia, una cascata di spruzzi e mostrandosi al tempo stesso vivace e animata, come se tutte le sue energie si fossero fuse in una forza unica, che bruciava e illuminava (sebbene fosse ancora seduta e avesse ripreso in mano la calza). (Woolf, 2004, pag. 54)
 
Di fronte alla crisi dell’uomo, all’incapacità dell’uomo di ritrovare un senso, la signora Ramsay reintroduce l’uomo nella vita, egli chiede alla moglie di salvarlo dalla peggiore morte possibile. E la bellezza della signora Ramsay è una forza generatrice, è apportatrice di senso, è il senso della vita.
 
Lo spossamento della signora Ramsay è causato dal fatto che ella fa proprio il dolore del marito, se ne assume il peso e con ciò rende più sopportabile ciò che l’altro sopporta. E’ la voglia di vivere, il desiderio, il piacere della vita, che non appartiene al regno dei significati ma a quello del senso, che la signora Ramsay spande con sicurezza e competenza. (Coppola, pag. 76)
 
La signora Ramsay è più una madonna che una donna, ha le caratteristiche di un personaggio stilnovistico, è definita nella sua funzione protettiva e rallegrante.
 
Ella ha cura degli altri, ha cura dell’intero mondo ambientale e interpersonale che la circonda e tale cura si manifesta nell’attenzione che ella rivolge alle cose e alle persone. (ibidem, pagg. 81-85)
 
Ma come spiegare questo strano rapporto tra cura e senso?
 
Nell’allontanarsi dagli altri, nella sospensione della sua funzione benefica e provvidenziale, nella sospensione della cura, la bellezza della signora Ramsay si raccoglie nel suo essere-per-sé, in una sorta di astrazione trascendentale. (ibidem)
 
Quando entriamo nei suoi pensieri vediamo che ella percepisce il mondo come privo di ragione, di ordine e di giustizia, pieno di morte e di miseria, e su questa visione tragica dell’esistenza poggia il potere salvifico della sua bellezza.
 
La personalità della signora Ramsay è strutturata su un nocciolo d’ombra che nulla ha a che vedere con quella bellezza.” Perdendosi in quest’ombra ella trova pace e stabilità. “Il sé della signora Ramsay è una sensazione di eternità, e il suo senso può essere trovato solo in un nascondimento assoluto, nel trascendimento della vita… (ibidem)
 
E ancora:
 
L’Io della signora Ramsay è tutto racchiuso e determinato da una funzione etica drammaticamente e profondamente vissuta, è la virtù di chi non si sottrae al dovere umano di partecipare…(ibidem)
 
La figura della signora Ramsay appare caratterizzata da una profonda contraddizione riassumibile in questo caso in due termini: virtù e ascesi.
 
E’ virtù la sua Cura per gli altri, comprensione dell’altrui dolore, compartecipazione ad esso. È ascesi l’ombra in cui trova pace, libertà e riposo. (ibidem)
 
Virginia Woolf, in Gita al faro, vuole anche sottolineare che il desiderio di conquista maschile richiede costante supporto e ammirazione delle donne e di conseguenza della loro autorepressione.
Gita al faro si apre con le parole rassicuranti della signora Ramsay e della gioia di James per la gita progettata per il giorno dopo, subito bruscamente interrotte dal verdetto del padre: …non sarà bello (Woolf, 2004, pag. 27). Le parole del signor Ramsay rappresentano l’adesione incondizionata all’ordine delle cose, al principio di realtà, e si oppongono alla comprensione materna che è esplicita adesione alla legge del desiderio e del piacere. Le parole della madre sono fondate su un atto di fede:
 
Ma può darsi che faccia bel tempo; secondo me farà bel tempo (Woolf, 2004, pag. 28)
 
Il padre, ci spiega Pierre Bourdieu, rappresenta il punto di vista dominante e legittimo, … di colui che intende realizzare nel suo essere il dover-essere che il mondo sociale gli assegna (Bourdieu, pag. 88) l’ideale dell’uomo e del padre, di colui che dice sempre il vero, che tenta di educare i figli all’estrema durezza del mondo, che non vuole che i figli vivano di false speranze.
Non tanto, quindi, il piacere di disilludere ma piuttosto un amore paterno che si esprime …rifiutando di abbandonarsi alla facilità colpevole di un’indulgenza femminile... (ibidem)
Ma proprio il padre, l’uomo inflessibile, che è riuscito ad uccidere con una frase i sogni del figlio, si mostra agli altri tormentato da altre illusioni. Il vezzo del signor Ramsay di parlare tra sé e sé a voce alta che tanto inquietava la moglie era il manifestarsi dell’ illusio accademica. Un poemetto di Tennyson scatena nel signor Ramsay una fantasticheria nella quale l’evocazione dell’avventura guerresca si mescola al pensiero ansioso del destino postumo del filosofo, Quanto durerà la mia fama?. L’avventura guerresca è una metafora dell’avventura intellettuale e del capitale simbolico che essa persegue, ci spiega Bourdieu:
 
L’illusio originaria, costitutiva della mascolinità è probabilmente alla radice di tutte le forme di libido dominandi, cioè di tutte le forme di illusio che si generano nei diversi campi.(…). Lasciandosi sorprendere in una fantasticheria ad occhi aperti che tradisce la vanità puerile dei suoi investimenti più profondi, il signor Ramsay mostra bruscamente che i giochi cui indulge, come gli altri uomini, sono giochi infantili che non vengono percepiti nella loro verità perché, appunto, la collusione collettiva conferisce loro la necessità e la realtà delle evidenze condivise. Il fatto che, tra i giochi costitutivi dell’esistenza sociale, quelli considerati seri siano riservati agli uomini, mentre alle donne spetta dedicarsi ai bambini e alle cose da bambini, contribuisce a far dimenticare che anche l’uomo è un bambino che gioca a fare l’uomo. (ibidem, pag. 90)
 
E la signora Ramsay, in quanto donna esclusa dai giochi degli uomini, alla quale è concessa una partecipazione a distanza, tramite il marito o i figli, è capace di scorgere la vanità di questi giochi.
 
Estranea ai giochi maschili e all’esaltazione dell’io e delle pulsioni sociali che essi impongono, la signora Ramsay vede con perfetta naturalezza che le prese di posizione apparentemente più pure e appassionate pro o contro Walter Scott non hanno spesso altra origine se non il desiderio di “farsi avanti”. (ibidem pag. 94)
 
Mentre le donne sono educate a vivere in una posizione esterna e subordinata, non possono partecipare ai giochi di potere se non per procura, e sono destinate alla cura maschile, il loro sguardo deve essere di comprensione e di compassione fiduciosa, il loro compito quello di trasmettere sicurezza.
Le due visioni, di Bourdieu e di Coppola, guardano allo stesso fenomeno mostrandoci aspetti diversi. Il rapporto tra i coniugi Ramsay può essere analizzato alla luce delle differenze di genere: in questo caso il ruolo viene interpretato come habitus sessuato, quindi come un insieme di disposizioni e atteggiamenti imparati e incorporati tramite la socializzazione. Ma possiamo anche osservare il rapporto tra i coniugi da un’altra angolazione, possiamo guardare all’individuo e alla sua capacità di conferire senso all’esistenza, e in questo caso da una parte abbiamo il signor Ramsay, intellettuale che conosce il mondo ma ha perso il senso e dall’altro la signora Ramsay con la sua capacità di conferire senso che poggia su quel nocciolo d’ombra nel quale ella trova pace e stabilità.
 
L’elemento unificante del romanzo è l’evoluzione di Lily Briscoe, un’amica dei Ramsay, pittrice non sposata, che nelle prime pagine del romanzo è fuori, sul prato e non riesce a completare il suo dipinto, un paesaggio postimpressionista. (Denby, pag. 600)
 
Lily Briscoe, nel quale si rispecchia il punto di vista della scrittrice è il simbolo di un altro modo di essere donna e di rapportarsi all’uomo. Lily Briscoe è una pittrice che non riesce a proiettarsi come moglie, che non riesce ad immaginarsi accanto ad un uomo: ... Le piaceva starsene per conto suo, essere com’era, non era fatta per quella vita (Woolf, ibidem, pag. 64). Lily non riusciva a provare l’entusiasmo, l’abbandono che vedeva nei volti di tante donne quando si infiammavano di affetto e di gioia davanti alle richieste di comprensione degli uomini, pareva traessero una soddisfazione immensa. Ed è così fino alla mattina in cui il signor Ramsay e i due figli Cam e James andranno al faro. Lily si ritrova dopo tanti anni di nuovo in quella casa, e di nuovo con la sua tela medita sulla vita, sullo spazio, sulle distanze. È sola e concentrata e cerca in ogni modo di fuggire il signor Ramsay:
 
Lily s’augurava soltanto che quell’enorme ondata d’angoscia, quella fame insaziabile di comprensione, quella richiesta di resa totale da parte sua la lasciassero, si allontanassero da lei. (ibidem, pag. 143)
 
Fugge il suo ruolo, che percepisce come un limite per la sua vita e per la sua arte, non riesce ad essere ciò che ci si aspetta da lei, finché a contatto con il signor Ramsay questa volta si sforza di dare quello che le altre donne danno, si sforza, tenta di ricordare i gesti e gli sguardi della signora Ramsay, quella sua capacità innata di restringere le distanze, di tessere rapporti, si sforza senza riuscirvi, ma ad un tratto si sente tormentata dalla compassione, senza avere il tempo di dire nulla.
Così la sua tensione diventa tutta mentale, è con il pensiero che mette in atto quella preoccupazione femminile, e così facendo, assume su di sé quell’equilibrio che le sembrava sgorgasse dalla signora Ramsay, come in un lampo, in una illuminazione, riesce a ricostruire un ordine nella sua vita, e a completare il suo quadro.
 
Ormai sarà arrivato, disse forte Lily Briscoe, sentendosi ad un tratto completamente esausta. Il faro era diventato quasi invisibile, s’era sciolto in una nebbiolina azzurra, e lo sforzo d’osservarlo e lo sforzo di pensare a Ramsay che sbarcava - sembrava uno sforzo unico - avevano messo a dura prova sia il corpo che la mente di lei. Ah! Ma provò anche sollievo. Quanto voleva dargli quella mattina- di qualunque cosa si trattasse- gliel’aveva finalmente dato. (ibidem, pag. 186)
 
Insomma, Lily Briscoe ha assorbito ciò che la signora Ramsay aveva da insegnare e ha infine conquistato la propria indipendenza. (Denby, pag. 600)
Virginia Woolf ricostruisce nel romanzo il rapporto con la madre attraverso il personaggio della signora Ramsay. Gita al faro, infatti, può essere letto anche come elegia dell’assenza, dell’elaborazione del lutto e del connesso senso di colpa per la perdita della madre. Alla luce di ciò possiamo interpretare l’illuminazione di Lily, l’assunzione del ruolo, come il segno di una volontà di ricongiungimento con quell’ordine creatrice che simbolicamente la madre rappresentava e non come una negazione del conflitto di genere.
 
Lily costruisce la sua identità di donna adulta attraverso il rapporto con la signora Ramsay, assorbendo da quest’ultima la voglia di vivere, il desiderio e il piacere della vita. La signora Ramsay è il simbolo della maternità, della forza femminile e creatrice, da cui Lily attinge per ridefinire se stessa come donna. Assume su di sé la potenza del femminile e in questo modo ritrova un contatto con la sua tela, con la sua opera, diventa finalmente capace di compiere la sua creazione artistica.
 
Ma Lily non è altro che l’alter ego della scrittrice; l’equilibrio che Lily conquista attraverso il rapporto con la signora Ramsay rappresenta la trasposizione letteraria del desiderio di Virginia Woolf di ricreare quello stesso equilibrio nella propria vita. La scrittrice prova, attraverso il romanzo, a ritrovare la madre, a ricreare quel rapporto che si era interrotto quando era bambina. Come Lily, Virginia Woolf attinge dalla femminilità archetipica per ridefinire se stessa come donna indipendente e moderna, e per ritrovare, in questa riconciliazione simbolica con la maternità, la fonte creativa della sua produzione letteraria.
 
Letture
Bourdieu P., La domination masculine,1998, trad. it. Il dominio maschile, Feltrinelli, Milano, 1998.
Coppola B., L’Ineffabile Bellezza, Franco Angeli, Milano, 1996.
Denby D., Great Books, 1996, trad. it. Grandi libri, Fazi, Milano, 1999.
Luperini R., L’incontro e il caso, Laterza, Bari, 2007.
Woolf V., Diary, 1953, trad. it.Diario di una scrittrice, Mondadori, Milano, 1979.
Woolf V., To the Lighthouse, 1927, trad. it. Gita al faro, Newton Compton, Roma, 2004.
Woolf V., A Room of One’s House, 1929, trad. it. Una stanza tutta per sé, Mondadori, Milano, 2000.
Woolf V., Three Guineas, 1938, trad. it. Le tre ghinee, Feltrinelli, Milano, 1992.


Biografia dell’autrice:
 

 
Nasce a San Giorgio a Cremano il 12 marzo 1982. Si laurea in Sociologia della comunicazione presso l’università di Napoli Federico II con una tesi dal titolo Il contenuto del contenitore:sociologia dell’arte ceramica.
Attualmente sta completando il suo corso di studi, specializzandosi presso l’ateneo federiciano
in comunicazione pubblica, sociale e politica.
 

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares